La ‘pubblica violenza’ («öffentliche Gewaltthätigkeit») fu uno dei crimini più frequenti, e temuti, nelle campagne italiane dell’impero austriaco. In una prima parte, il saggio inquadra brevemente la definizione giuridica del delitto, per comprendere tra l’altro la genesi di veri e propri stereotipi criminali legati ai colpevoli di pubblica violenza. Indaga poi quali rapporti tra istituzioni e forze sociali mettesse in luce la sua repressione. L’analisi della documentazione processuale rivela da un lato l’obiettivo di stabilità politica e psicologica che la magistratura persegue usando in modo flessibile questa figura di crimine: soprattutto le consuetudini del mondo contadino (scontri fra gruppi di giovani, risse, furti campestri), vengono in tal modo ricondotte entro le categorie del Codice. D’altro lato, proprio l’attenzione ai contesti rurali esprime uno sforzo di pacificazione del mondo contadino che rappresenta per l’impero austriaco – e per tutti gli altri agrarian empires europei – un problema cruciale di legittimità politica. Dopo la rivoluzione del 1848, il problema della delinquenza rurale e la crisi delle istituzioni comunitarie mettono ancora più in primo piano la pubblica violenza nelle campagne italiane dell’impero. Le pressioni provenienti dal ceto dei proprietari locali e le critiche che questi continuamente muovono verso la giustizia austriaca rappresentano l’altro fronte del contesto sociale in cui agiscono i protagonisti dei crimini di pubblica violenza. Processi di conoscenza del mondo rurale, inchieste statitische, definizioni dei confini tra spazi pubblici e privati, contrasti fra ceti, costituiscono il vero sfondo sociale – e la reale posta in gioco – dei nostri processi.
La quiete nelle campagne: il crimine di "pubblica violenza" nel Tirolo e nel Lombardo-Veneto dell'Ottocento.
Bellabarba, Marco
2012-01-01
Abstract
La ‘pubblica violenza’ («öffentliche Gewaltthätigkeit») fu uno dei crimini più frequenti, e temuti, nelle campagne italiane dell’impero austriaco. In una prima parte, il saggio inquadra brevemente la definizione giuridica del delitto, per comprendere tra l’altro la genesi di veri e propri stereotipi criminali legati ai colpevoli di pubblica violenza. Indaga poi quali rapporti tra istituzioni e forze sociali mettesse in luce la sua repressione. L’analisi della documentazione processuale rivela da un lato l’obiettivo di stabilità politica e psicologica che la magistratura persegue usando in modo flessibile questa figura di crimine: soprattutto le consuetudini del mondo contadino (scontri fra gruppi di giovani, risse, furti campestri), vengono in tal modo ricondotte entro le categorie del Codice. D’altro lato, proprio l’attenzione ai contesti rurali esprime uno sforzo di pacificazione del mondo contadino che rappresenta per l’impero austriaco – e per tutti gli altri agrarian empires europei – un problema cruciale di legittimità politica. Dopo la rivoluzione del 1848, il problema della delinquenza rurale e la crisi delle istituzioni comunitarie mettono ancora più in primo piano la pubblica violenza nelle campagne italiane dell’impero. Le pressioni provenienti dal ceto dei proprietari locali e le critiche che questi continuamente muovono verso la giustizia austriaca rappresentano l’altro fronte del contesto sociale in cui agiscono i protagonisti dei crimini di pubblica violenza. Processi di conoscenza del mondo rurale, inchieste statitische, definizioni dei confini tra spazi pubblici e privati, contrasti fra ceti, costituiscono il vero sfondo sociale – e la reale posta in gioco – dei nostri processi.File | Dimensione | Formato | |
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