Con l’attuazione delle previsioni costituzionali del 2001 e regolata dalla l. n. 42 del 5 maggio 2009, le Regioni a statuto ordinario potranno sperimentare un significativo ampliamento dei loro poteri, associato peraltro a nuove regole di finanziamento, capaci di creare un maggior legame con il territorio. Le Regioni a statuto speciale manterranno invece le loro prerogative, anche se il divario che le separa dalle altre sarà sicuramente minore di quello inaugurato con gli statuti del 1948. Gli assetti che emergeranno dipendono, per una parte, da un paniere di incentivi e forme di responsabilizzazione che il legislatore ha voluto introdurre nel dispositivo di attuazione del «federalismo». Le vicende degli ultimi sessant’anni, e soprattutto l’esperienza delle autonomie speciali, indicano però che altre grandezze potrebbero giocare un ruolo fondamentale. Dall’esperienza delle autonomie differenziate sembra emergere che, poste di fronte alle loro responsabilità e ad un rapporto con il territorio più forte, le diverse Regioni hanno reagito in modo diverso, segnando così l’affermazione di una mutevole relazione tra un federalismo di diritto ed un federalismo di fatto. Capire che cosa determina la diversa «propensione al federalismo» dei vari territori non è cosa semplice. Dalla nostra analisi emerge una distinzione netta tra lo sviluppo delle autonomie speciali dell’arco alpino, rispetto a quello delle isole. È da questo dato che si può ricavare una chiave interpretativa: il regionalismo si è concretamente sviluppato soprattutto nei territori che avevano più a lungo vissuto precedenti esperienze di ampio decentramento, quali furono quelle previste dagli ordinamenti dell’Impero d’Austria. Trento, Bolzano e il Friuli hanno dunque saputo progredire nell’autonomia perché sono partiti da una esperienza più «federale» di quella maturata da altri, vissuti invece a lungo all’ombra dello Statuto Albertino. Si tratta di una interpretazione che si collega alle analisi economiche basate sul capitale sociale, ovvero nell’idea secondo cui le istituzioni locali trovano il loro alimento nelle culture e nelle capacità amministrative che si sedimentano nel tempo e con l’esperienza. Se queste conclusioni, sul ruolo delle esperienze del passato nello sviluppo dell’autonomia e dell’autogoverno, fossero estese alla generalità delle istituzioni, è indubbio che le Regioni ordinarie, tra loro culturalmente molto differenti, possano incontrare lo stesso tipo di problemi. Le Regioni più deboli, come è già accaduto per le speciali, probabilmente soccomberanno quando verranno poste di fronte alle sfide imposte da un aggravio delle responsabilità di spesa e di finanziamento. Per come è stata configurata, la nuova stagione del federalismo rischia dunque di trasformarsi in uno strumento per dividere e non per unire.
Regionalismi del passato e federalismo futuro:cosa insegna l'esperienza delle autonomie speciali / Cerea, Gianfranco. - In: LE REGIONI. - ISSN 0391-7576. - STAMPA. - 2009:3-4(2009), pp. 453-486.
Regionalismi del passato e federalismo futuro:cosa insegna l'esperienza delle autonomie speciali
Cerea, Gianfranco
2009-01-01
Abstract
Con l’attuazione delle previsioni costituzionali del 2001 e regolata dalla l. n. 42 del 5 maggio 2009, le Regioni a statuto ordinario potranno sperimentare un significativo ampliamento dei loro poteri, associato peraltro a nuove regole di finanziamento, capaci di creare un maggior legame con il territorio. Le Regioni a statuto speciale manterranno invece le loro prerogative, anche se il divario che le separa dalle altre sarà sicuramente minore di quello inaugurato con gli statuti del 1948. Gli assetti che emergeranno dipendono, per una parte, da un paniere di incentivi e forme di responsabilizzazione che il legislatore ha voluto introdurre nel dispositivo di attuazione del «federalismo». Le vicende degli ultimi sessant’anni, e soprattutto l’esperienza delle autonomie speciali, indicano però che altre grandezze potrebbero giocare un ruolo fondamentale. Dall’esperienza delle autonomie differenziate sembra emergere che, poste di fronte alle loro responsabilità e ad un rapporto con il territorio più forte, le diverse Regioni hanno reagito in modo diverso, segnando così l’affermazione di una mutevole relazione tra un federalismo di diritto ed un federalismo di fatto. Capire che cosa determina la diversa «propensione al federalismo» dei vari territori non è cosa semplice. Dalla nostra analisi emerge una distinzione netta tra lo sviluppo delle autonomie speciali dell’arco alpino, rispetto a quello delle isole. È da questo dato che si può ricavare una chiave interpretativa: il regionalismo si è concretamente sviluppato soprattutto nei territori che avevano più a lungo vissuto precedenti esperienze di ampio decentramento, quali furono quelle previste dagli ordinamenti dell’Impero d’Austria. Trento, Bolzano e il Friuli hanno dunque saputo progredire nell’autonomia perché sono partiti da una esperienza più «federale» di quella maturata da altri, vissuti invece a lungo all’ombra dello Statuto Albertino. Si tratta di una interpretazione che si collega alle analisi economiche basate sul capitale sociale, ovvero nell’idea secondo cui le istituzioni locali trovano il loro alimento nelle culture e nelle capacità amministrative che si sedimentano nel tempo e con l’esperienza. Se queste conclusioni, sul ruolo delle esperienze del passato nello sviluppo dell’autonomia e dell’autogoverno, fossero estese alla generalità delle istituzioni, è indubbio che le Regioni ordinarie, tra loro culturalmente molto differenti, possano incontrare lo stesso tipo di problemi. Le Regioni più deboli, come è già accaduto per le speciali, probabilmente soccomberanno quando verranno poste di fronte alle sfide imposte da un aggravio delle responsabilità di spesa e di finanziamento. Per come è stata configurata, la nuova stagione del federalismo rischia dunque di trasformarsi in uno strumento per dividere e non per unire.File | Dimensione | Formato | |
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