Le ultime controversie italiane sull’uso commerciale delle immagini del David di Michelangelo (Trib. Firenze sentenza decisa il 20 aprile 2023) e dell’Uomo Vitruviano di Leonardo (Trib. Venezia ordinanza decisa il 24 ottobre2022) emergono giudizialmente nello stesso periodo in cui la riproduzione dell’immagine della Venere di Botticelli per la campagna pubblicitaria “Open to meraviglia” del Ministero del turismo ha innescato una polemica che ha come sfondo il ruolo dello stato quale custode del patrimonio culturale (dell’umanità). Il dato che accomuna le due decisioni in commento è la confusione concettuale. La sovrapposizione di aspetti non patrimoniali e patrimoniali, come il mescolamento tra strumenti giuridici pubblicistici (il codice dei beni culturali) e privatistici (i diritti della personalità del codice civile) nonché il richiamo feticistico all’art. 9 Cost. fanno velo ai reali interessi in gioco e alle finalità di questa nuova forma di pseudo-proprietà intellettuale che vorrebbe fondare in capo allo stato il potere di controllare in via esclusiva l’uso commerciale delle immagini dei beni culturali. In Italia le vicende recenti del diritto all’immagine sui beni culturali possono essere rilette nella chiave dell’eterogenesi dei fini. Le norme pubblicistiche che regolano la riproduzione per immagini dei beni culturali – art. 107-108 codice dei beni culturali - avevano lo scopo di controllare l’uso rivale degli spazi in cui gli stessi beni sono collocati e conservano una finalità di tutela di integrità fisica del bene quando le nuove tecnologie non offrono alternative al contatto fisico con l’oggetto materiale. A tali funzioni, si affianca il potere dello stato di chiedere canoni e corrispettivi nel caso sia offerto un servizio a valore aggiunto quale la fornitura al privato di immagini ad alta definizione. In tutti questi casi, la ratio della norma rimane solida. Invece, il tentativo acrobatico di ricavarne una pseudo-proprietà intellettuale o uno pseudo-diritto di sfruttamento commerciale della notorietà del bene culturale, per controllare la riproduzione indiretta ovvero la copia della copia (ad es. la riproduzione di un’immagine pubblicata su Wikipedia) non ha solide fondamenta né nel diritto positivo né nella politica del diritto. Se il diritto all’immagine del bene culturale fosse integrato nel sistema giuridico italiano, ne deriverebbe un’ulteriore indebita restrizione del pubblico dominio dell’umanità e dei beni comuni della conoscenza, un allontanamento dell’Italia dal movimento planetario che promuove l’accesso aperto alla cultura e un inutile rumore interpretativo di fondo foriero di costi amministrativi e giurisdizionali. Infine, la compatibilità di tale diritto con il quadro normativo internazionale (con riferimento al diritto alla cultura e al diritto alla scienza) ed europeo (con riferimento alle politiche relative alla scienza aperta e all’apertura dei dati del settore pubblico) rimane alquanto dubbia.
Il David, l’Uomo vitruviano e il diritto all’immagine del bene culturale: verso un’evaporazione del pubblico dominio? / Caso, Roberto. - In: IL FORO ITALIANO. - ISSN 0015-783X. - STAMPA. - 2023:7-8(2023), pp. 2283-2288.
Il David, l’Uomo vitruviano e il diritto all’immagine del bene culturale: verso un’evaporazione del pubblico dominio?
Caso, Roberto
2023-01-01
Abstract
Le ultime controversie italiane sull’uso commerciale delle immagini del David di Michelangelo (Trib. Firenze sentenza decisa il 20 aprile 2023) e dell’Uomo Vitruviano di Leonardo (Trib. Venezia ordinanza decisa il 24 ottobre2022) emergono giudizialmente nello stesso periodo in cui la riproduzione dell’immagine della Venere di Botticelli per la campagna pubblicitaria “Open to meraviglia” del Ministero del turismo ha innescato una polemica che ha come sfondo il ruolo dello stato quale custode del patrimonio culturale (dell’umanità). Il dato che accomuna le due decisioni in commento è la confusione concettuale. La sovrapposizione di aspetti non patrimoniali e patrimoniali, come il mescolamento tra strumenti giuridici pubblicistici (il codice dei beni culturali) e privatistici (i diritti della personalità del codice civile) nonché il richiamo feticistico all’art. 9 Cost. fanno velo ai reali interessi in gioco e alle finalità di questa nuova forma di pseudo-proprietà intellettuale che vorrebbe fondare in capo allo stato il potere di controllare in via esclusiva l’uso commerciale delle immagini dei beni culturali. In Italia le vicende recenti del diritto all’immagine sui beni culturali possono essere rilette nella chiave dell’eterogenesi dei fini. Le norme pubblicistiche che regolano la riproduzione per immagini dei beni culturali – art. 107-108 codice dei beni culturali - avevano lo scopo di controllare l’uso rivale degli spazi in cui gli stessi beni sono collocati e conservano una finalità di tutela di integrità fisica del bene quando le nuove tecnologie non offrono alternative al contatto fisico con l’oggetto materiale. A tali funzioni, si affianca il potere dello stato di chiedere canoni e corrispettivi nel caso sia offerto un servizio a valore aggiunto quale la fornitura al privato di immagini ad alta definizione. In tutti questi casi, la ratio della norma rimane solida. Invece, il tentativo acrobatico di ricavarne una pseudo-proprietà intellettuale o uno pseudo-diritto di sfruttamento commerciale della notorietà del bene culturale, per controllare la riproduzione indiretta ovvero la copia della copia (ad es. la riproduzione di un’immagine pubblicata su Wikipedia) non ha solide fondamenta né nel diritto positivo né nella politica del diritto. Se il diritto all’immagine del bene culturale fosse integrato nel sistema giuridico italiano, ne deriverebbe un’ulteriore indebita restrizione del pubblico dominio dell’umanità e dei beni comuni della conoscenza, un allontanamento dell’Italia dal movimento planetario che promuove l’accesso aperto alla cultura e un inutile rumore interpretativo di fondo foriero di costi amministrativi e giurisdizionali. Infine, la compatibilità di tale diritto con il quadro normativo internazionale (con riferimento al diritto alla cultura e al diritto alla scienza) ed europeo (con riferimento alle politiche relative alla scienza aperta e all’apertura dei dati del settore pubblico) rimane alquanto dubbia.File | Dimensione | Formato | |
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