L'influenza del diritto sovranazionale, l'ampliamento del concetto di “materia penale” e la prospettiva “integrata” della legalità hanno portato ad una progressiva ridefinizione del perimetro applicativo delle garanzie intertemporali. In particolare, le norme della legge sull’esecuzione della pena, comprese quelle sui benefici penitenziari e sulle misure alternative, sono state sempre considerate di natura processuale, con la conseguente applicazione del canone del tempus regit actum, nonostante si sia sottolineata l'opportunità di evitare modifiche peggiorative di tali norme rispetto al momento in cui si stringe il "patto rieducativo" con il condannato. Il criterio formalistico, che distingue i diversi regimi di efficacia nel tempo in base alla “natura” delle norme o degli istituti, presenta mai superati limiti: come distinguere le norme di “natura” sostanziale da quelle di “natura” processuale, se si possa parlare realmente di “natura” processuale o sostanziale e soprattutto se tutta la categoria delle norme processuali si sottragga al divieto di retroattività in peius, sono domande a cui non si sono date risposte univoche. Tali latenti problematiche sono recentemente (ri)emerse con l’emanazione della c.d. legge “Spazzacorrotti”, che ha inserito molti dei delitti contro la p.a. nell’elenco di quelli ostativi alla concessione dei benefici e delle misure alternative previste dalla legge sull’Ordinamento penitenziario. La Consulta, con la sentenza n. 32/2020, ricorrendo al criterio dell’incidenza qualitativa sulla libertà personale, ha ritenuto illegittimo il diritto vivente consolidato, secondo cui le modifiche peggiorative in materia di misure alternative e la sospensione dell’ordine di carcerazione ex art. 656 c.p.p. potrebbero essere applicate anche per fatti commessi prima della loro entrata in vigore. L'obiettivo del lavoro è stato quello di condurre una riflessione in merito all'estensione dell'ambito operativo del principio di irretroattività della legge penale sfavorevole, evidenziandone le antiche e fondamentali istanze garantistiche, per verificare se -ed in quali termini- possa trovare applicazione in materia di esecuzione della pena alla luce dei principi enunciati nella Cedu ed evidenziati dalla Corte di Strasburgo e dalla Consulta. Il lavoro si propone di indagare gli effetti dell'approccio sostanzialistico della Corte Edu, che sembra aver dato l'impulso per riconsiderare la formalistica distinzione tra norme sostanziali e processuali, nell'ottica di estendere il divieto di retroattività in malam partem alle modifiche legislative incidenti in via diretta sulla qualità e sulla durata della pena. Inoltre, l’impostazione sovranazionale, secondo cui la disciplina prevista per la successione di leggi può riferirsi anche ai mutamenti giurisprudenziali in ossequio ad una prospettiva "integrata" delle diverse concezioni della legalità, ha dischiuso da tempo un orizzonte di nuove riflessioni in materia di irretroattività. Nel presente lavoro, in particolare, si vogliono analizzare gli effetti del revirement sfavorevole compiuto da Strasburgo nella sentenza Mursic c. Croazia, in punto di spazio minimo vitale per il detenuto e computo del mobilio, sull’applicazione dell’art. 35-ter o.p., che rinvia all’art. 3 Cedu come interpretato dalla giurisprudenza della Corte Edu. Si è voluta condurre un'analisi idonea a cogliere i punti di arrivo e di ripartenza, valorizzando il costante lavoro compiuto dalla Corte costituzionale, sempre più coraggiosa nell’affermare la forza dei principi costituzionali e convenzionali anche in materia di esecuzione della pena.

Principio di irretroattività e norme sull'esecuzione della pena. Il dialogo tra la Corte di Strasburgo e le Corti italiane / Menegoni, Camilla. - (2023 Mar 24), pp. 1-391. [10.15168/11572_372547]

Principio di irretroattività e norme sull'esecuzione della pena. Il dialogo tra la Corte di Strasburgo e le Corti italiane

Menegoni, Camilla
2023-03-24

Abstract

L'influenza del diritto sovranazionale, l'ampliamento del concetto di “materia penale” e la prospettiva “integrata” della legalità hanno portato ad una progressiva ridefinizione del perimetro applicativo delle garanzie intertemporali. In particolare, le norme della legge sull’esecuzione della pena, comprese quelle sui benefici penitenziari e sulle misure alternative, sono state sempre considerate di natura processuale, con la conseguente applicazione del canone del tempus regit actum, nonostante si sia sottolineata l'opportunità di evitare modifiche peggiorative di tali norme rispetto al momento in cui si stringe il "patto rieducativo" con il condannato. Il criterio formalistico, che distingue i diversi regimi di efficacia nel tempo in base alla “natura” delle norme o degli istituti, presenta mai superati limiti: come distinguere le norme di “natura” sostanziale da quelle di “natura” processuale, se si possa parlare realmente di “natura” processuale o sostanziale e soprattutto se tutta la categoria delle norme processuali si sottragga al divieto di retroattività in peius, sono domande a cui non si sono date risposte univoche. Tali latenti problematiche sono recentemente (ri)emerse con l’emanazione della c.d. legge “Spazzacorrotti”, che ha inserito molti dei delitti contro la p.a. nell’elenco di quelli ostativi alla concessione dei benefici e delle misure alternative previste dalla legge sull’Ordinamento penitenziario. La Consulta, con la sentenza n. 32/2020, ricorrendo al criterio dell’incidenza qualitativa sulla libertà personale, ha ritenuto illegittimo il diritto vivente consolidato, secondo cui le modifiche peggiorative in materia di misure alternative e la sospensione dell’ordine di carcerazione ex art. 656 c.p.p. potrebbero essere applicate anche per fatti commessi prima della loro entrata in vigore. L'obiettivo del lavoro è stato quello di condurre una riflessione in merito all'estensione dell'ambito operativo del principio di irretroattività della legge penale sfavorevole, evidenziandone le antiche e fondamentali istanze garantistiche, per verificare se -ed in quali termini- possa trovare applicazione in materia di esecuzione della pena alla luce dei principi enunciati nella Cedu ed evidenziati dalla Corte di Strasburgo e dalla Consulta. Il lavoro si propone di indagare gli effetti dell'approccio sostanzialistico della Corte Edu, che sembra aver dato l'impulso per riconsiderare la formalistica distinzione tra norme sostanziali e processuali, nell'ottica di estendere il divieto di retroattività in malam partem alle modifiche legislative incidenti in via diretta sulla qualità e sulla durata della pena. Inoltre, l’impostazione sovranazionale, secondo cui la disciplina prevista per la successione di leggi può riferirsi anche ai mutamenti giurisprudenziali in ossequio ad una prospettiva "integrata" delle diverse concezioni della legalità, ha dischiuso da tempo un orizzonte di nuove riflessioni in materia di irretroattività. Nel presente lavoro, in particolare, si vogliono analizzare gli effetti del revirement sfavorevole compiuto da Strasburgo nella sentenza Mursic c. Croazia, in punto di spazio minimo vitale per il detenuto e computo del mobilio, sull’applicazione dell’art. 35-ter o.p., che rinvia all’art. 3 Cedu come interpretato dalla giurisprudenza della Corte Edu. Si è voluta condurre un'analisi idonea a cogliere i punti di arrivo e di ripartenza, valorizzando il costante lavoro compiuto dalla Corte costituzionale, sempre più coraggiosa nell’affermare la forza dei principi costituzionali e convenzionali anche in materia di esecuzione della pena.
24-mar-2023
XXXV
2021-2022
Facoltà di Giurisprudenza (29/10/12-)
Comparative and European Legal Studies
Menghini, Antonia
no
Italiano
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embargo fino al 31/03/2025

Tipologia: Tesi di dottorato (Doctoral Thesis)
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