L'obiettivo che ci siamo posti all'inizio dell'attività di ricerca è consistito nell'indagare un circoscritto numero di delitti culturali in senso stretto, focalizzando la nostra attenzione sulle tipologie che in Italia hanno suscitato il maggior allarme sociale, al fine di verificare la tenuta dell'impianto codicistico sia sotto il profilo sostanziale che, parzialmente, processuale. Possiamo dire che l'analisi delle quattro fattispecie di reato scelte (honour killings, modificazioni degli organi genitali, maltrattamenti violenti ed accattonaggio) non sia stata fine a se stessa, ma volta a dimostrare come nel grande contenitore dell'illecito culturale e dell'omologazione nascente dalla stessa creazione di una categoria di sintesi, si nascondano in realtà molti profili problematici a livello dei principi che operano in questo specifico settore dell'ordinamento: dalle questioni attinenti al libero arbitrio, all'individuazione di beni giuridici bisognosi di tutela penale (con i necessari collegamenti con la dottrina dell'harm principle), fino al complesso dibattito sulla distinzione tra meritevolezza e bisogno di pena. Consci del notevole livello di approfondimento scientifico presente oramai anche nella dottrina italiana, abbiamo cercato di perseguire l'ambiziosa meta di non ricorrere alle "facili" categorie della dignità e del limite invalicabile dei diritti umani, i quali soffocano qualsiasi dibattito riguardante quelle condotte culturalmente connotate che suscitano la maggior diffidenza, se non addirittura disgusto. Per fare ciò abbiamo, anche con l'indispensabile ausilio della giurisprudenza, tentato di investigare quale fosse il bene giuridico tutelato dalle diverse norme incriminatrici, chi ne fosse il titolare e, quindi, cosa si celasse dietro il comodo lemma dignità. Per quanto riguarda la vittimizzazione femminile abbiamo frequentemente scoperto che la visione massmediatica -che oppone un retrogrado e barbaro oriente ad un moderno ed egalitario occidente- null'altro fosse se non una semplice distorsione, mentre molto spesso la sopraffazione che si nasconde dietro certe condotte è una mera violenza di genere che trova ancora spazio in istituti obsoleti come la provocazione, o, meglio, nelle manipolazioni giurisprudenziali, del Codice Rocco. Ci siamo poi chiesti se la tutela delle vittime debba per forza passare attraverso la durezza delle pene per i rei e ci siamo convinti che non sia questa la strada da perseguire. I nostri risultati sono ovviamente una goccia nel mare che questo meraviglioso tema rappresenta, ma siamo giunti alla conclusione che la comparazione in questo settore sarà sempre più importante e che dovrà essere superata la sterile distinzione tra paesi di common law e di civil law, essendo ormai presente per molte spinose tematiche una "grammatica comune"; che si rende ormai improrogabile una drastica revisione del sistema sanzionatorio e delle misure sostitutive ed alternative al carcere. Infine si è convinti che il tema richieda ancora un notevole approfondimento in punto di punibilità, soluzione per noi preferibile per i reati di media gravità, ma che nel clima politico in cui si scrive sembra assolutamente lontana. Siamo quindi giunti a proporre, grazie all'analisi della giurisprudenza che sembra adeguarsi al modello in odium rei introdotto dal legislatore con l'art. 583bis c.p., la formulazione di un articolo 133quater -calibrato sul modello di verifica del delitto culturale su cui si registra l'ampio consenso della dottrina- il quale prevede una presunzione juris tantum per l'applicazione del minimo edittale in caso di illecito culturalmente orientato, superabile se sia stata fornita congrua motivazione della colpevolezza, intesa quale motivabilità mediante norme, del soggetto. De jure condito invece si è giunti all'amara conclusione che, pur essendo in via teorica molteplici i canali attraverso cui la motivazione può trovare spazio nel codice penale, all'avvocato difensore spetti il compito di usare al massimo i poteri che gli sono stati concessi dal nuovo rito, affinché, se ritenuto bisognoso di pena, il suo assistito possa almeno avvalersi della misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale, l'unica che ci sembra allo stato dell'arte possa garantire una minima rieducazione, purtroppo intesa nella maggior parte dei casi come prima educazione.

Alcuni riflessi penalistici dell'"enigma multiculturale": considerazioni in tema di cause di giustificazione, scusanti e funzioni della pena / Sella, Chiara. - (2010), pp. 1-300.

Alcuni riflessi penalistici dell'"enigma multiculturale": considerazioni in tema di cause di giustificazione, scusanti e funzioni della pena.

Sella, Chiara
2010-01-01

Abstract

L'obiettivo che ci siamo posti all'inizio dell'attività di ricerca è consistito nell'indagare un circoscritto numero di delitti culturali in senso stretto, focalizzando la nostra attenzione sulle tipologie che in Italia hanno suscitato il maggior allarme sociale, al fine di verificare la tenuta dell'impianto codicistico sia sotto il profilo sostanziale che, parzialmente, processuale. Possiamo dire che l'analisi delle quattro fattispecie di reato scelte (honour killings, modificazioni degli organi genitali, maltrattamenti violenti ed accattonaggio) non sia stata fine a se stessa, ma volta a dimostrare come nel grande contenitore dell'illecito culturale e dell'omologazione nascente dalla stessa creazione di una categoria di sintesi, si nascondano in realtà molti profili problematici a livello dei principi che operano in questo specifico settore dell'ordinamento: dalle questioni attinenti al libero arbitrio, all'individuazione di beni giuridici bisognosi di tutela penale (con i necessari collegamenti con la dottrina dell'harm principle), fino al complesso dibattito sulla distinzione tra meritevolezza e bisogno di pena. Consci del notevole livello di approfondimento scientifico presente oramai anche nella dottrina italiana, abbiamo cercato di perseguire l'ambiziosa meta di non ricorrere alle "facili" categorie della dignità e del limite invalicabile dei diritti umani, i quali soffocano qualsiasi dibattito riguardante quelle condotte culturalmente connotate che suscitano la maggior diffidenza, se non addirittura disgusto. Per fare ciò abbiamo, anche con l'indispensabile ausilio della giurisprudenza, tentato di investigare quale fosse il bene giuridico tutelato dalle diverse norme incriminatrici, chi ne fosse il titolare e, quindi, cosa si celasse dietro il comodo lemma dignità. Per quanto riguarda la vittimizzazione femminile abbiamo frequentemente scoperto che la visione massmediatica -che oppone un retrogrado e barbaro oriente ad un moderno ed egalitario occidente- null'altro fosse se non una semplice distorsione, mentre molto spesso la sopraffazione che si nasconde dietro certe condotte è una mera violenza di genere che trova ancora spazio in istituti obsoleti come la provocazione, o, meglio, nelle manipolazioni giurisprudenziali, del Codice Rocco. Ci siamo poi chiesti se la tutela delle vittime debba per forza passare attraverso la durezza delle pene per i rei e ci siamo convinti che non sia questa la strada da perseguire. I nostri risultati sono ovviamente una goccia nel mare che questo meraviglioso tema rappresenta, ma siamo giunti alla conclusione che la comparazione in questo settore sarà sempre più importante e che dovrà essere superata la sterile distinzione tra paesi di common law e di civil law, essendo ormai presente per molte spinose tematiche una "grammatica comune"; che si rende ormai improrogabile una drastica revisione del sistema sanzionatorio e delle misure sostitutive ed alternative al carcere. Infine si è convinti che il tema richieda ancora un notevole approfondimento in punto di punibilità, soluzione per noi preferibile per i reati di media gravità, ma che nel clima politico in cui si scrive sembra assolutamente lontana. Siamo quindi giunti a proporre, grazie all'analisi della giurisprudenza che sembra adeguarsi al modello in odium rei introdotto dal legislatore con l'art. 583bis c.p., la formulazione di un articolo 133quater -calibrato sul modello di verifica del delitto culturale su cui si registra l'ampio consenso della dottrina- il quale prevede una presunzione juris tantum per l'applicazione del minimo edittale in caso di illecito culturalmente orientato, superabile se sia stata fornita congrua motivazione della colpevolezza, intesa quale motivabilità mediante norme, del soggetto. De jure condito invece si è giunti all'amara conclusione che, pur essendo in via teorica molteplici i canali attraverso cui la motivazione può trovare spazio nel codice penale, all'avvocato difensore spetti il compito di usare al massimo i poteri che gli sono stati concessi dal nuovo rito, affinché, se ritenuto bisognoso di pena, il suo assistito possa almeno avvalersi della misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale, l'unica che ci sembra allo stato dell'arte possa garantire una minima rieducazione, purtroppo intesa nella maggior parte dei casi come prima educazione.
2010
XXI
2009-2010
Scienze Giuridiche (cess.4/11/12)
Comparative and European Legal Studies
Fornasari, Gabriele
no
Italiano
Settore IUS/17 - Diritto Penale
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Tipologia: Tesi di dottorato (Doctoral Thesis)
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