Celestino Endrici, nato a Don in Val di Non nel 1866, fu nominato principe vescovo di Trento dall’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe a soli 38 anni nel 1904. La diocesi trentina era una diocesi di confine e soprattutto mistilingue: comprendeva infatti 27 decanati di lingua italiana e 10 di lingua tedesca. La scelta di quel vescovo era quindi molto delicata, innanzitutto dal punto di vista nazionale, ma anche da quello sociale, a causa del dissidio interno al mondo cattolico tedesco tra conservatori e cristiano sociali. Personaggio molto attivo nel nascente associazionismo trentino, Endrici aveva compiuto i propri studi a Roma dove fu fortemente influenzato dagli insegnamenti di Leone XIII. Il suo episcopato austriaco è stato però prevalentemente ricordato per il suo infelice epilogo: durante la Prima guerra mondiale venne confinato, prima in un palazzo vescovile vicino a Trento poi in un’abbazia cistercense nei pressi di Vienna, a Heiligenkreuz. Il governo asburgico cercò di ottenere le sue dimissioni durante tutto il conflitto, contestando in particolare il suo atteggiamento verso la società germanizzatrice Tiroler Volksbund e in generale il suo approccio troppo freddo nei confronti dell’impresa bellica dell’Impero. L’esperienza del confino fu fondamentale per la posizione che Endrici riuscì ad assumere dopo la guerra: al termine delle ostilità infatti il Trentino visse un periodo di transizione per l’annessione al Regno d’Italia. Le truppe italiane entrarono a Trento il 3 novembre 1918 ed il giorno successivo venne instaurato il governatorato militare, retto dal generale Pecori Giraldi. La politica tendenzialmente moderata di questo periodo dovette però fare i conti con le sostanziali incoerenze del governo centrale, che per la prima volta nella sua storia si trovava a dover confrontarsi con delle minoranze etniche. Il 4 luglio 1919 fu quindi istituito l’Ufficio centrale per le nuove province, affidato al friulano Francesco Salata, e il 21 luglio furono nominati i commissari civili sia per la Venezia Tridentina che per la Venezia Giulia. A Trento arrivò Luigi Credaro, liberale, già ministro per l’istruzione, profondamente mal visto dalle gerarchie ecclesiastiche per la sua presunta affiliazione alla massoneria. Il processo di integrazione amministrativa e legislativa, in senso apparentemente e moderatamente autonomista, cominciato durante il Commissariato Credaro venne bruscamente interrotto dall’avvento del fascismo. Il 3 e il 4 ottobre 1922 i fascisti fecero a Bolzano e poi a Trento quelle che sono state definite le prove generali della marcia su Roma, occupando le sedi del comune bolzanino e della giunta provinciale e costringendo Credaro, tra gli altri, alle dimissioni. Saliti al potere anche a Roma i fascisti crearono la prefettura della Venezia Tridentina, di fatto uniformando le nuove province alle vecchie. Il primo prefetto fu Giuseppe Guadagnini, bolognese, che aveva partecipato alle azioni squadriste di inizio ottobre e che si insediò a Trento il 3 novembre 1922, esattamente quattro anni dopo l’entrata dell’esercito italiano in città. L’avvento del fascismo pose al vescovo la necessità di adoperarsi attivamente nella protezione del movimento cooperativo e associazionistico cattolico, molto forte in Trentino; dovette farlo in particolare in occasione dell’assalto alle sedi delle istituzioni cattoliche del novembre 1926 e della crisi dell’Azione cattolica nell’estate del 1931. In quel periodo Endrici dovette anche affrontare la politica fascista di assimilazione nazionale nei confronti della minoranza tedesca. Sebbene il rapporto con i decanati tedeschi della diocesi si fosse già compromesso durante la Grande guerra, il vescovo si adoperò per garantire protezione al clero tedesco. Soprattutto, Endrici fu molto attivo durante il difficile periodo delle Opzioni, un accordo del 1939 tra Hitler e Mussolini secondo cui tutti gli altoatesini avrebbero dovuto scegliere se mantenere la cittadinanza italiana oppure acquisire quella tedesca. Gli ultimi anni del suo episcopato furono però segnati da gravi problemi di salute: nel settembre 1934 fu colpito da un ictus, che ne compromise le capacità motorie. Venne quindi affiancato da monsignor Enrico Montalbetti, con cui non riuscì mai a collaborare; a causa del cattivo rapporto sia con il titolare che con le autorità locali questi fu quindi trasferito a Reggio Calabria nel 1938. Vescovo coadiutore divenne allora monsignor Oreste Rauzi, trentino e presidente dell’Azione cattolica, che affiancò Endrici fino alla sua morte, senza però succedergli per l’opposizione dei fascisti. Questa ricerca si concentra soprattutto sulla parte italiana dell’episcopato di Endrici, sia geograficamente che temporalmente. Come già ricordato, la diocesi di Trento comprendeva in quel periodo ben dieci decanati di lingua tedesca nell’Alto Adige, mentre quella di Bressanone si estendeva infatti prevalentemente sul territorio tirolese oltre il Brennero. Il carattere bilingue della diocesi pose parecchi problemi alla curia trentina, specialmente in quegli anni di forti sconvolgimenti politici e di grandi passioni nazionalistiche. Sia nel periodo asburgico che in quello italiano il vescovo di Trento si trovò a essere pastore di una componente linguistica minoritaria, che rivendicava diritti e autonomie spesso negate dall’autorità costituita. Questa chiave di lettura ha pervaso buona parte della letteratura su Endrici, non permettendo una visione più completa di quello che fu il suo episcopato. Per questo motivo si è deciso di studiare in maniera approfondita gli anni dal 1918 al 1940. Nella tesi verranno analizzate le posizioni assunte dal vescovo nelle vertenze politiche principali del periodo tra le due guerre, sia nella fase di transizione del trentino all’Italia sia durante il regime fascista. A corredo del lavoro empirico si è deciso di adottare una componente teorica, attraverso cui inserire le vicende dell’episcopato di Endrici nella più ampia cornice della politica estera del Vaticano degli anni tra le due guerre. A questo scopo ci si è serviti della teoria di relazioni internazionali che descrive la Santa Sede come un attore transnazionale multilivello. Questa impostazione multidisciplinare trova compimento nella suddivisione dei capitoli. La tesi si divide infatti in due parti. La prima ripercorre storicamente tutto il percorso di Endrici, soffermandosi sulla sua azione politica e soprattutto su alcuni passaggi chiave inseriti nel più ampio contesto politico e sociale del Trentino tra le due guerre. La seconda parte presenta invece un approfondimento dell’attività del vescovo all’interno del mondo cattolico e soprattutto dei tre livelli proposti. Seppure non convenzionale, questa suddivisione serve a mostrare in maniera più chiara la rete di rapporti di monsignor Endrici e a permetterne la comparazione con altri casi studio simili. Il vescovo di Trento potrebbe allora diventare un paradigma per lo studio di altri vescovi italiani, e non solo, durante gli anni tra le due guerre: superando così la connotazione localistica che ha caratterizzato le ricerche sulla sua figura, per inserirsi in un più ampio dibattito storiografico sulla posizione della chiesa durante il periodo fascista.
Celestino Endrici: un Principe Vescovo in Italia (1918-1940) / Tenaglia, Camilla. - (2019), pp. 1-297.
Celestino Endrici: un Principe Vescovo in Italia (1918-1940)
Tenaglia, Camilla
2019-01-01
Abstract
Celestino Endrici, nato a Don in Val di Non nel 1866, fu nominato principe vescovo di Trento dall’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe a soli 38 anni nel 1904. La diocesi trentina era una diocesi di confine e soprattutto mistilingue: comprendeva infatti 27 decanati di lingua italiana e 10 di lingua tedesca. La scelta di quel vescovo era quindi molto delicata, innanzitutto dal punto di vista nazionale, ma anche da quello sociale, a causa del dissidio interno al mondo cattolico tedesco tra conservatori e cristiano sociali. Personaggio molto attivo nel nascente associazionismo trentino, Endrici aveva compiuto i propri studi a Roma dove fu fortemente influenzato dagli insegnamenti di Leone XIII. Il suo episcopato austriaco è stato però prevalentemente ricordato per il suo infelice epilogo: durante la Prima guerra mondiale venne confinato, prima in un palazzo vescovile vicino a Trento poi in un’abbazia cistercense nei pressi di Vienna, a Heiligenkreuz. Il governo asburgico cercò di ottenere le sue dimissioni durante tutto il conflitto, contestando in particolare il suo atteggiamento verso la società germanizzatrice Tiroler Volksbund e in generale il suo approccio troppo freddo nei confronti dell’impresa bellica dell’Impero. L’esperienza del confino fu fondamentale per la posizione che Endrici riuscì ad assumere dopo la guerra: al termine delle ostilità infatti il Trentino visse un periodo di transizione per l’annessione al Regno d’Italia. Le truppe italiane entrarono a Trento il 3 novembre 1918 ed il giorno successivo venne instaurato il governatorato militare, retto dal generale Pecori Giraldi. La politica tendenzialmente moderata di questo periodo dovette però fare i conti con le sostanziali incoerenze del governo centrale, che per la prima volta nella sua storia si trovava a dover confrontarsi con delle minoranze etniche. Il 4 luglio 1919 fu quindi istituito l’Ufficio centrale per le nuove province, affidato al friulano Francesco Salata, e il 21 luglio furono nominati i commissari civili sia per la Venezia Tridentina che per la Venezia Giulia. A Trento arrivò Luigi Credaro, liberale, già ministro per l’istruzione, profondamente mal visto dalle gerarchie ecclesiastiche per la sua presunta affiliazione alla massoneria. Il processo di integrazione amministrativa e legislativa, in senso apparentemente e moderatamente autonomista, cominciato durante il Commissariato Credaro venne bruscamente interrotto dall’avvento del fascismo. Il 3 e il 4 ottobre 1922 i fascisti fecero a Bolzano e poi a Trento quelle che sono state definite le prove generali della marcia su Roma, occupando le sedi del comune bolzanino e della giunta provinciale e costringendo Credaro, tra gli altri, alle dimissioni. Saliti al potere anche a Roma i fascisti crearono la prefettura della Venezia Tridentina, di fatto uniformando le nuove province alle vecchie. Il primo prefetto fu Giuseppe Guadagnini, bolognese, che aveva partecipato alle azioni squadriste di inizio ottobre e che si insediò a Trento il 3 novembre 1922, esattamente quattro anni dopo l’entrata dell’esercito italiano in città. L’avvento del fascismo pose al vescovo la necessità di adoperarsi attivamente nella protezione del movimento cooperativo e associazionistico cattolico, molto forte in Trentino; dovette farlo in particolare in occasione dell’assalto alle sedi delle istituzioni cattoliche del novembre 1926 e della crisi dell’Azione cattolica nell’estate del 1931. In quel periodo Endrici dovette anche affrontare la politica fascista di assimilazione nazionale nei confronti della minoranza tedesca. Sebbene il rapporto con i decanati tedeschi della diocesi si fosse già compromesso durante la Grande guerra, il vescovo si adoperò per garantire protezione al clero tedesco. Soprattutto, Endrici fu molto attivo durante il difficile periodo delle Opzioni, un accordo del 1939 tra Hitler e Mussolini secondo cui tutti gli altoatesini avrebbero dovuto scegliere se mantenere la cittadinanza italiana oppure acquisire quella tedesca. Gli ultimi anni del suo episcopato furono però segnati da gravi problemi di salute: nel settembre 1934 fu colpito da un ictus, che ne compromise le capacità motorie. Venne quindi affiancato da monsignor Enrico Montalbetti, con cui non riuscì mai a collaborare; a causa del cattivo rapporto sia con il titolare che con le autorità locali questi fu quindi trasferito a Reggio Calabria nel 1938. Vescovo coadiutore divenne allora monsignor Oreste Rauzi, trentino e presidente dell’Azione cattolica, che affiancò Endrici fino alla sua morte, senza però succedergli per l’opposizione dei fascisti. Questa ricerca si concentra soprattutto sulla parte italiana dell’episcopato di Endrici, sia geograficamente che temporalmente. Come già ricordato, la diocesi di Trento comprendeva in quel periodo ben dieci decanati di lingua tedesca nell’Alto Adige, mentre quella di Bressanone si estendeva infatti prevalentemente sul territorio tirolese oltre il Brennero. Il carattere bilingue della diocesi pose parecchi problemi alla curia trentina, specialmente in quegli anni di forti sconvolgimenti politici e di grandi passioni nazionalistiche. Sia nel periodo asburgico che in quello italiano il vescovo di Trento si trovò a essere pastore di una componente linguistica minoritaria, che rivendicava diritti e autonomie spesso negate dall’autorità costituita. Questa chiave di lettura ha pervaso buona parte della letteratura su Endrici, non permettendo una visione più completa di quello che fu il suo episcopato. Per questo motivo si è deciso di studiare in maniera approfondita gli anni dal 1918 al 1940. Nella tesi verranno analizzate le posizioni assunte dal vescovo nelle vertenze politiche principali del periodo tra le due guerre, sia nella fase di transizione del trentino all’Italia sia durante il regime fascista. A corredo del lavoro empirico si è deciso di adottare una componente teorica, attraverso cui inserire le vicende dell’episcopato di Endrici nella più ampia cornice della politica estera del Vaticano degli anni tra le due guerre. A questo scopo ci si è serviti della teoria di relazioni internazionali che descrive la Santa Sede come un attore transnazionale multilivello. Questa impostazione multidisciplinare trova compimento nella suddivisione dei capitoli. La tesi si divide infatti in due parti. La prima ripercorre storicamente tutto il percorso di Endrici, soffermandosi sulla sua azione politica e soprattutto su alcuni passaggi chiave inseriti nel più ampio contesto politico e sociale del Trentino tra le due guerre. La seconda parte presenta invece un approfondimento dell’attività del vescovo all’interno del mondo cattolico e soprattutto dei tre livelli proposti. Seppure non convenzionale, questa suddivisione serve a mostrare in maniera più chiara la rete di rapporti di monsignor Endrici e a permetterne la comparazione con altri casi studio simili. Il vescovo di Trento potrebbe allora diventare un paradigma per lo studio di altri vescovi italiani, e non solo, durante gli anni tra le due guerre: superando così la connotazione localistica che ha caratterizzato le ricerche sulla sua figura, per inserirsi in un più ampio dibattito storiografico sulla posizione della chiesa durante il periodo fascista.File | Dimensione | Formato | |
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