Attraverso questo elaborato s’intende proporre una riflessione critica, circa le valenze politicamente sottese all’utilizzo del dispositivo narrativo all’interno del percorso di richiesta d’asilo politico. Frutto di una ricerca etnografica condotta nel territorio bolognese all’interno di alcuni tra gli snodi principali che compongono questo percorso istituzionale, l’indagine in questione è stata svolta ricorrendo agli strumenti metodologici di cui l’etnografia si avvale. Un intreccio complesso, composto dall’alternarsi di fasi tese al “controllo” delle trame presenti nelle storie dei richiedenti asilo e alla “produzione” delle caratteristiche che compongono questo specifico soggetto legale, può essere individuato come il fil rouge che lega le tre sezioni etnografiche sui cui si erigono le riflessioni oggetto di questo elaborato. Nella prima parte, infatti, è stato possibile mettere in luce, tramite l’etnografia condotta presso un servizio per il supporto alla Protezione Internazionale, come la storia venga trattata in quanto specchio dell’esperienza trascorsa dai richiedenti, dunque, come elemento da verificare e correggere al fine di mettere a punto un soggetto in grado di performare il ruolo istituzionale assegnatoli. La categoria di trauma viene chiamata in causa in questi contesti come strumento di controllo e di conferma delle trame narrative che richiamano esperienze di violenza o come elemento in grado di “riparare”, se presente nelle relazioni medico-psichiatriche, a quei “buchi di trama” e alla mancanza di linearità talvolta presente nei racconti degli applicanti. Dalla ricerca è emerso come le istituzioni d’asilo riconducano infatti queste imperfezioni narrative sia alla non autenticità delle storie, sia a particolari disfunzioni cognitive, riflesso di malfunzionamenti mnestici spesso concepiti come legati allo stesso concetto di esperienza traumatica. È in questo frangente che i dispositivi clinici di stampo psicologico – psichiatrico vengono eletti a pratica confessionale (Foucault, 2006) segmento di realtà iscrivibile in più ampie “memoro – politiche” (Hacking, 1996) tese al controllo e alla normalizzazione delle memorie e dunque, in questo caso specifico, dell’identità degli applicanti. Questi ultimi aspetti sono stati messi in luce nella seconda e terza delle tre sezioni etnografiche che compongono l’elaborato, rispettivamente frutto di due distinte fasi di osservazione partecipante condotte presso un centro di salute mentale e un servizio teso al collocamento lavorativo di richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale gestito da personale con formazione in ambito psicologico.
Tra pratiche istituzionali, discorsi legali e dispositivi clinici: la narrazione nel processo di richiesta d'asilo. Un'indagine etnografica / Mencacci, Elisa. - (2013), pp. 1-203.
Tra pratiche istituzionali, discorsi legali e dispositivi clinici: la narrazione nel processo di richiesta d'asilo. Un'indagine etnografica
Mencacci, Elisa
2013-01-01
Abstract
Attraverso questo elaborato s’intende proporre una riflessione critica, circa le valenze politicamente sottese all’utilizzo del dispositivo narrativo all’interno del percorso di richiesta d’asilo politico. Frutto di una ricerca etnografica condotta nel territorio bolognese all’interno di alcuni tra gli snodi principali che compongono questo percorso istituzionale, l’indagine in questione è stata svolta ricorrendo agli strumenti metodologici di cui l’etnografia si avvale. Un intreccio complesso, composto dall’alternarsi di fasi tese al “controllo” delle trame presenti nelle storie dei richiedenti asilo e alla “produzione” delle caratteristiche che compongono questo specifico soggetto legale, può essere individuato come il fil rouge che lega le tre sezioni etnografiche sui cui si erigono le riflessioni oggetto di questo elaborato. Nella prima parte, infatti, è stato possibile mettere in luce, tramite l’etnografia condotta presso un servizio per il supporto alla Protezione Internazionale, come la storia venga trattata in quanto specchio dell’esperienza trascorsa dai richiedenti, dunque, come elemento da verificare e correggere al fine di mettere a punto un soggetto in grado di performare il ruolo istituzionale assegnatoli. La categoria di trauma viene chiamata in causa in questi contesti come strumento di controllo e di conferma delle trame narrative che richiamano esperienze di violenza o come elemento in grado di “riparare”, se presente nelle relazioni medico-psichiatriche, a quei “buchi di trama” e alla mancanza di linearità talvolta presente nei racconti degli applicanti. Dalla ricerca è emerso come le istituzioni d’asilo riconducano infatti queste imperfezioni narrative sia alla non autenticità delle storie, sia a particolari disfunzioni cognitive, riflesso di malfunzionamenti mnestici spesso concepiti come legati allo stesso concetto di esperienza traumatica. È in questo frangente che i dispositivi clinici di stampo psicologico – psichiatrico vengono eletti a pratica confessionale (Foucault, 2006) segmento di realtà iscrivibile in più ampie “memoro – politiche” (Hacking, 1996) tese al controllo e alla normalizzazione delle memorie e dunque, in questo caso specifico, dell’identità degli applicanti. Questi ultimi aspetti sono stati messi in luce nella seconda e terza delle tre sezioni etnografiche che compongono l’elaborato, rispettivamente frutto di due distinte fasi di osservazione partecipante condotte presso un centro di salute mentale e un servizio teso al collocamento lavorativo di richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale gestito da personale con formazione in ambito psicologico.File | Dimensione | Formato | |
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