La testimonianza anonima – intesa come la testimonianza resa da un soggetto con identità sconosciuta all’imputato – è un istituto che ha trovato, in tempi recenti, crescente diffusione in Europa. Ha trovato legittimazione anzitutto a Strasburgo, presso la Corte europea dei diritti dell’uomo. È principio ormai consolidato, nell’ambito della giurisprudenza della Corte europea, quello per cui l’uso di testimonianze anonime non è in tutti i casi incompatibile con i canoni dell’equo processo. Qualora sussista un rischio per l’incolumità della fonte di prova e siano attivate garanzie compensative a beneficio della difesa, l’impiego di dichiarazioni accusatorie provenienti da testimoni la cui identità sia secretata all’imputato non viola l’art. 6 C.e.d.u. Sulla scia di questa legittimazione “dall’alto”, molte legislazioni nazionali hanno introdotto modalità speciali di acquisizione della prova dichiarativa nei casi in cui sussista un pericolo per la sicurezza del testimone. In questa direzione si è mosso anche il legislatore italiano. La legge n 136 del 2010 ha inserito, nel corpo dell’art. 497, il comma 2-bis, il quale impone agli agenti sotto copertura chiamati a riferire in dibattimento in ordine alle attività svolte sotto copertura, di declinare le generalità fittizie adottate nel corso delle investigazioni. Si tratta di una disposizione che non ha avuto molta eco nel dibattito giuridico, eppure essa rappresenta una novità di grande rilievo, per almeno tre ragioni. In primo luogo, riflette una tendenza più generale, che attraversa ordinamenti stranieri e sovranazionali, volta a legittimare l’anonimato testimoniale in chiave di tutela delle fonti di prova. In secondo luogo, s’intreccia alle evoluzioni recenti in due settori nevralgici della procedura penale: da una parte, la tutela delle pregorative delle vittime e dei testimoni nell’ambito del processo; dall’altra, lo sviluppo delle tecniche “coperte” d’investigazione, ossia quella variegata fenomenologia di attività d’indagine che impongono, nel corso del loro svolgimento e nel processo celebrato sulla base dei risultati in esse acquisiti, condizioni di particolare segretezza dei funzionari coinvolti. Infine, la novella imprime una forte accelerazione e al tempo stesso innova, sotto molteplici aspetti, il dibattito sui rapporti tra fonti anonime e processo penale. Si rompe il dogma per cui al segreto sulla fonte di prova immancabilmente si associa l’irrilevanza delle informazioni rese. È oggi consentito l’uso a fini probatori di una conoscenza anche quando questa non è controllabile, sotto il profilo della provenienza, da ogni parte processuale. Il punto di rottura non è di quelli che passano inosservati. Si spiega, così, il particolare taglio che si è voluto dare al lavoro. Si è scelto di concentrarsi, fra tutte le possibili manifestazioni dell’anonimo in campo processualpenalistico, sulla testimonianza anonima perché è attorno a tale figura probatoria che si coaugulano i più significativi tratti di novità che investono la materia e che si fa sentire più forte l’esigenza di un approfondimento sistematico.

La testimonianza anonima nel processo penale. Un'analisi comparata / Biral, Marianna. - (2017), pp. 1-237.

La testimonianza anonima nel processo penale. Un'analisi comparata.

Biral, Marianna
2017-01-01

Abstract

La testimonianza anonima – intesa come la testimonianza resa da un soggetto con identità sconosciuta all’imputato – è un istituto che ha trovato, in tempi recenti, crescente diffusione in Europa. Ha trovato legittimazione anzitutto a Strasburgo, presso la Corte europea dei diritti dell’uomo. È principio ormai consolidato, nell’ambito della giurisprudenza della Corte europea, quello per cui l’uso di testimonianze anonime non è in tutti i casi incompatibile con i canoni dell’equo processo. Qualora sussista un rischio per l’incolumità della fonte di prova e siano attivate garanzie compensative a beneficio della difesa, l’impiego di dichiarazioni accusatorie provenienti da testimoni la cui identità sia secretata all’imputato non viola l’art. 6 C.e.d.u. Sulla scia di questa legittimazione “dall’alto”, molte legislazioni nazionali hanno introdotto modalità speciali di acquisizione della prova dichiarativa nei casi in cui sussista un pericolo per la sicurezza del testimone. In questa direzione si è mosso anche il legislatore italiano. La legge n 136 del 2010 ha inserito, nel corpo dell’art. 497, il comma 2-bis, il quale impone agli agenti sotto copertura chiamati a riferire in dibattimento in ordine alle attività svolte sotto copertura, di declinare le generalità fittizie adottate nel corso delle investigazioni. Si tratta di una disposizione che non ha avuto molta eco nel dibattito giuridico, eppure essa rappresenta una novità di grande rilievo, per almeno tre ragioni. In primo luogo, riflette una tendenza più generale, che attraversa ordinamenti stranieri e sovranazionali, volta a legittimare l’anonimato testimoniale in chiave di tutela delle fonti di prova. In secondo luogo, s’intreccia alle evoluzioni recenti in due settori nevralgici della procedura penale: da una parte, la tutela delle pregorative delle vittime e dei testimoni nell’ambito del processo; dall’altra, lo sviluppo delle tecniche “coperte” d’investigazione, ossia quella variegata fenomenologia di attività d’indagine che impongono, nel corso del loro svolgimento e nel processo celebrato sulla base dei risultati in esse acquisiti, condizioni di particolare segretezza dei funzionari coinvolti. Infine, la novella imprime una forte accelerazione e al tempo stesso innova, sotto molteplici aspetti, il dibattito sui rapporti tra fonti anonime e processo penale. Si rompe il dogma per cui al segreto sulla fonte di prova immancabilmente si associa l’irrilevanza delle informazioni rese. È oggi consentito l’uso a fini probatori di una conoscenza anche quando questa non è controllabile, sotto il profilo della provenienza, da ogni parte processuale. Il punto di rottura non è di quelli che passano inosservati. Si spiega, così, il particolare taglio che si è voluto dare al lavoro. Si è scelto di concentrarsi, fra tutte le possibili manifestazioni dell’anonimo in campo processualpenalistico, sulla testimonianza anonima perché è attorno a tale figura probatoria che si coaugulano i più significativi tratti di novità che investono la materia e che si fa sentire più forte l’esigenza di un approfondimento sistematico.
2017
XXVIII
2017-2018
Facoltà di Giurisprudenza (29/10/12-)
Comparative and European Legal Studies
Camon, Alberto
no
Inglese
Settore IUS/16 - Diritto Processuale Penale
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
BIRAL_tesi_dottorato.pdf

accesso aperto

Tipologia: Tesi di dottorato (Doctoral Thesis)
Licenza: Tutti i diritti riservati (All rights reserved)
Dimensione 2.43 MB
Formato Adobe PDF
2.43 MB Adobe PDF Visualizza/Apri
Disclaimer.pdf

Solo gestori archivio

Tipologia: Tesi di dottorato (Doctoral Thesis)
Licenza: Tutti i diritti riservati (All rights reserved)
Dimensione 685.32 kB
Formato Adobe PDF
685.32 kB Adobe PDF   Visualizza/Apri

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11572/368853
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact