Con d.lgs. 27 febbraio 2010, n. 27 è stata finalmente recepita nell’ordinamento italiano la Direttiva 2007/36/CE dell’11 luglio 2007 relativa all'esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate, a mezzo della quale il legislatore europeo – nella convinzione, poi ribadita nel Libro Verde Il quadro dell’Unione europea in materia di governo societario del 5 aprile 2011, che l’implementazione dei diritti degli azionisti di società quotate possa incentivarne l’attivismo e facilitare quindi il controllo assembleare sull’operato dell’organo gestorio – detta svariate disposizioni volte ad agevolare l’esercizio di alcuni diritti amministrativi dei soci, in particolare il diritto di voto in assemblea. Questo orientamento legislativo mira in ultima istanza all’ambizioso risultato di ribilanciare a vantaggio dei soci il rapporto tra proprietà e gestione, che i recenti scandali finanziari hanno dimostrato essere eccessivamente squilibrato a favore del management, e così a favorire il «buon governo societario». La Direttiva Shareholders’ Rights appare invero uno strumento inidoneo a stimolare un significativo attivismo assembleare, perché le misure di cui all’intervento legislativo comunitario – certamente apprezzabili ove prevedono, inter alia, la possibilità per i soci di iscrivere punti all’ordine del giorno nonché di porre domande alla società e ricevere risposte, e ove riducono gli ostacoli materiali che dissuadono l’azionista dal votare e gli oneri connessi al difficile reperimento di informazioni rilevanti in vista dell’assemblea – non incidono sugli elevati costi informativi connessi allo studio delle informazioni, prerequisito indispensabile per una partecipazione consapevole alle attività assembleari; la “piena” partecipazione continua a rappresentare dunque un’alternativa eccessivamente onerosa e antieconomica – e quindi impraticabile – rispetto alle alternative per ridurre il rischio connaturato nell’investimento invalse nella prassi, quali la diversificazione dei portafogli azionari. Questa e altre considerazioni in ordine al comportamento degli investitori istituzionali nei mercati finanziari portano in definitiva a concludere che le nuove misure tese alla valorizzazione del ruolo dei soci non offrono un’alternativa percorribile rispetto alle politiche orientate alla c.d. apatia razionale. Una terza via rispetto all’equilibrio fondato sulla centralità e libertà operativa del management (rivelatasi fallimentare alla prova dei fatti, in quanto priva di idonei contrappesi) o sulle potenzialità (inespresse e solo utopisticamente esprimibili) dei soci quali diretti controllori degli amministratori, è rappresentata dalla valorizzazione del ruolo – ab origine svilito e comunque mai pienamente estrinsecatosi nonostante il succedersi delle riforme intervenute, specie in tema di società quotate dell’organo di controllo interno: valorizzazione che non può prescindere da un ripensamento del significato del requisito dell’indipendenza dei sindaci e del contributo che in tal senso promana dalla partecipazione delle minoranze all’elezione dell’organo. Proprio la percezione di una maggiore indipendenza del collegio sindacale rispetto al passato, e del ruolo chiave degli investitori nell’assicurare tale indipendenza, auspicabilmente condurrà al raggiungimento dell’obiettivo ultimo del legislatore europeo, ovvero il ripristino della fiducia del pubblico dei risparmiatori nei mercati finanziari.

Il corretto equilibrio dei poteri tra amministratori e soci nelle società  quotate / Brunetta, Michele. - (2013), pp. 1-271.

Il corretto equilibrio dei poteri tra amministratori e soci nelle società  quotate

Brunetta, Michele
2013-01-01

Abstract

Con d.lgs. 27 febbraio 2010, n. 27 è stata finalmente recepita nell’ordinamento italiano la Direttiva 2007/36/CE dell’11 luglio 2007 relativa all'esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate, a mezzo della quale il legislatore europeo – nella convinzione, poi ribadita nel Libro Verde Il quadro dell’Unione europea in materia di governo societario del 5 aprile 2011, che l’implementazione dei diritti degli azionisti di società quotate possa incentivarne l’attivismo e facilitare quindi il controllo assembleare sull’operato dell’organo gestorio – detta svariate disposizioni volte ad agevolare l’esercizio di alcuni diritti amministrativi dei soci, in particolare il diritto di voto in assemblea. Questo orientamento legislativo mira in ultima istanza all’ambizioso risultato di ribilanciare a vantaggio dei soci il rapporto tra proprietà e gestione, che i recenti scandali finanziari hanno dimostrato essere eccessivamente squilibrato a favore del management, e così a favorire il «buon governo societario». La Direttiva Shareholders’ Rights appare invero uno strumento inidoneo a stimolare un significativo attivismo assembleare, perché le misure di cui all’intervento legislativo comunitario – certamente apprezzabili ove prevedono, inter alia, la possibilità per i soci di iscrivere punti all’ordine del giorno nonché di porre domande alla società e ricevere risposte, e ove riducono gli ostacoli materiali che dissuadono l’azionista dal votare e gli oneri connessi al difficile reperimento di informazioni rilevanti in vista dell’assemblea – non incidono sugli elevati costi informativi connessi allo studio delle informazioni, prerequisito indispensabile per una partecipazione consapevole alle attività assembleari; la “piena” partecipazione continua a rappresentare dunque un’alternativa eccessivamente onerosa e antieconomica – e quindi impraticabile – rispetto alle alternative per ridurre il rischio connaturato nell’investimento invalse nella prassi, quali la diversificazione dei portafogli azionari. Questa e altre considerazioni in ordine al comportamento degli investitori istituzionali nei mercati finanziari portano in definitiva a concludere che le nuove misure tese alla valorizzazione del ruolo dei soci non offrono un’alternativa percorribile rispetto alle politiche orientate alla c.d. apatia razionale. Una terza via rispetto all’equilibrio fondato sulla centralità e libertà operativa del management (rivelatasi fallimentare alla prova dei fatti, in quanto priva di idonei contrappesi) o sulle potenzialità (inespresse e solo utopisticamente esprimibili) dei soci quali diretti controllori degli amministratori, è rappresentata dalla valorizzazione del ruolo – ab origine svilito e comunque mai pienamente estrinsecatosi nonostante il succedersi delle riforme intervenute, specie in tema di società quotate dell’organo di controllo interno: valorizzazione che non può prescindere da un ripensamento del significato del requisito dell’indipendenza dei sindaci e del contributo che in tal senso promana dalla partecipazione delle minoranze all’elezione dell’organo. Proprio la percezione di una maggiore indipendenza del collegio sindacale rispetto al passato, e del ruolo chiave degli investitori nell’assicurare tale indipendenza, auspicabilmente condurrà al raggiungimento dell’obiettivo ultimo del legislatore europeo, ovvero il ripristino della fiducia del pubblico dei risparmiatori nei mercati finanziari.
2013
XXIV
2012-2013
Facoltà di Giurisprudenza (29/10/12-)
Comparative and European Legal Studies
Pederzini, Elisabetta
no
Italiano
Settore IUS/04 - Diritto Commerciale
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