Sotto il nome di cessazione della materia del contendere è nota quella particolare tipologia di pronuncia, di origine pretoria, cui si fa ricorso quando sopravvenga, pendente il giudizio, un accadimento dotato dell’attitudine a eliminare la ragione del contrasto insorto tra le parti. Nel presente lavoro, si è inteso calare la locuzione “cessazione della materia del contendere” nel più ampio contesto relativo allo studio della problematica riconducibile al fatto sopravvenuto. La formula, infatti, non rappresenta che la sintesi della soluzione congegnata dalla giurisprudenza civile per fronteggiare simile eventualità. Tale più ampia prospettiva d’indagine ha consentito di ravvisare dinamiche e questioni comuni anche in altre branche processuali (quali il sistema processuale amministrativo e tributario) o in altri ordinamenti giuridici (in particolare l’ordinamento tedesco, austriaco e francese); ciò ha reso fecondo, e allo stesso tempo familiare, lo studio del fatto sopravvenuto al di fuori del processo civile italiano. L’analisi ha consentito di mettere in luce alcuni profili di grande rilievo: anzitutto, quanto all’ambito applicativo della formula, si è inteso operare una bipartizione fondamentale tra le ipotesi in cui il sopraggiungere del fatto determini la sopravvenuta estinzione della situazione giuridica dedotta a titolo della domanda (comportandone così la sopravvenuta infondatezza o inammissibilità) e quelle in cui l’evento non rappresenti altro che la concreta manifestazione dell’avvenuta autocomposizione della lite. L’indagine ha messo in luce come il ricorso alla formula di cessata materia del contendere sia avvenuto sulla base di esigenze diverse: ragioni di schietta giustizia per il primo gruppo di ipotesi (la giurisprudenza non reputava, semplicemente, giusto che la parte sostanzialmente vincitrice risultasse soccombente dal punto di vista processuale) e ragioni di opportunità per l’altra categoria di fattispecie (il ricorso alla formula de qua è stato suggerito dalla volontà di arginare il potere dispositivo delle parti, al fine di salvaguardare la libertà di apprezzamento e giudizio del giudice). Una volta ricostruito il perimetro applicativo si sono indagati i caratteri dell’istituto: la soluzione congegnata dalla giurisprudenza civile risulta essere completamente imperniata sul requisito dell’accordo. Più precisamente, all’incontro delle volontà delle parti viene riconosciuta una duplice valenza e una duplice sfera di efficacia: l’accordo relativo al sopraggiungere dell’evento può determinare, in alcuni casi, la sopravvenuta carenza di interesse ad agire e, in altri casi, l’estinzione radicale del processo. In quest’ultima eventualità, l’accordo va inteso quale esercizio congiunto del potere dispositivo riconosciuto alle parti, al quale la giurisprudenza ricollega la conseguenza di porre nel nulla il giudizio e la pregressa attività processuale, ad eccezione delle sentenze già passate in giudicato. In definitiva, la soluzione predisposta dalla giurisprudenza civile relativamente alla problematica del fatto sopravvenuto consiste nell’attribuire una particolare efficacia – dispositiva del processo oppure modificativa dei caratteri propri del fatto – all’accordo tra le parti, il che potrà avvenire solamente allorquando il fatto sopravvenuto possegga la qualità di elemento risolutore della controversia dedotta in giudizio. Non sempre, però, l’avvento del fatto sortisce l’effetto di acquietare le parti: può darsi che l’accordo non si formi perché il convenuto non concordi sulle conseguenze giuridiche riconducibili all’evento oppure perché l’attore ambisca a ottenere una pronuncia di merito quanto alla domanda spiegata. Il permanere del dissenso tra le parti preclude una terminazione anzitempo del processo per avvenuta cessazione della materia del contendere. Preso atto dei limiti della soluzione giurisprudenziale, ci si è soffermati sull’ipotesi di mancato accordo, analizzando l’efficacia e l’incidenza, sul processo in corso, dei diversi fatti sopravvenuti. La soluzione proposta si presenta diversificata a seconda della tipologia di fatto sopravvenuto: per le ipotesi di autocomposizione della lite si ritiene che la soluzione auspicabile sia quella in grado di preservare l’autonomia e la libertà decisionale dell’organo giudicante, mentre, per le ipotesi di sopravvenuta estinzione della situazione giuridica dedotta a titolo della domanda, la soluzione potrebbe essere nel senso di onerare l’attore di porre in essere una riduzione della propria domanda. Pertanto, qualora il fatto sopravvenuto non comporti la riappacificazione tra gli originari contendenti, oppure, semplicemente, la parte ambisca a ottenere una pronuncia di merito idonea al giudicato, si ritiene che l’attore possa adeguare la situazione processuale alla mutata realtà sostanziale mediante una riduzione della domanda al substrato di mero accertamento (proprio di tutte le tipologie di domanda giudiziale). Così facendo, la domanda – ridotta – conserverebbe la propria efficacia propulsiva, in grado di condurre il processo sino a una sentenza di merito favorevole all’attore.
La cessazione della materia del contendere: profili di diritto interno e comparato / Sassani, Francesca. - (2015), pp. 1-274.
La cessazione della materia del contendere: profili di diritto interno e comparato
Sassani, Francesca
2015-01-01
Abstract
Sotto il nome di cessazione della materia del contendere è nota quella particolare tipologia di pronuncia, di origine pretoria, cui si fa ricorso quando sopravvenga, pendente il giudizio, un accadimento dotato dell’attitudine a eliminare la ragione del contrasto insorto tra le parti. Nel presente lavoro, si è inteso calare la locuzione “cessazione della materia del contendere” nel più ampio contesto relativo allo studio della problematica riconducibile al fatto sopravvenuto. La formula, infatti, non rappresenta che la sintesi della soluzione congegnata dalla giurisprudenza civile per fronteggiare simile eventualità. Tale più ampia prospettiva d’indagine ha consentito di ravvisare dinamiche e questioni comuni anche in altre branche processuali (quali il sistema processuale amministrativo e tributario) o in altri ordinamenti giuridici (in particolare l’ordinamento tedesco, austriaco e francese); ciò ha reso fecondo, e allo stesso tempo familiare, lo studio del fatto sopravvenuto al di fuori del processo civile italiano. L’analisi ha consentito di mettere in luce alcuni profili di grande rilievo: anzitutto, quanto all’ambito applicativo della formula, si è inteso operare una bipartizione fondamentale tra le ipotesi in cui il sopraggiungere del fatto determini la sopravvenuta estinzione della situazione giuridica dedotta a titolo della domanda (comportandone così la sopravvenuta infondatezza o inammissibilità) e quelle in cui l’evento non rappresenti altro che la concreta manifestazione dell’avvenuta autocomposizione della lite. L’indagine ha messo in luce come il ricorso alla formula di cessata materia del contendere sia avvenuto sulla base di esigenze diverse: ragioni di schietta giustizia per il primo gruppo di ipotesi (la giurisprudenza non reputava, semplicemente, giusto che la parte sostanzialmente vincitrice risultasse soccombente dal punto di vista processuale) e ragioni di opportunità per l’altra categoria di fattispecie (il ricorso alla formula de qua è stato suggerito dalla volontà di arginare il potere dispositivo delle parti, al fine di salvaguardare la libertà di apprezzamento e giudizio del giudice). Una volta ricostruito il perimetro applicativo si sono indagati i caratteri dell’istituto: la soluzione congegnata dalla giurisprudenza civile risulta essere completamente imperniata sul requisito dell’accordo. Più precisamente, all’incontro delle volontà delle parti viene riconosciuta una duplice valenza e una duplice sfera di efficacia: l’accordo relativo al sopraggiungere dell’evento può determinare, in alcuni casi, la sopravvenuta carenza di interesse ad agire e, in altri casi, l’estinzione radicale del processo. In quest’ultima eventualità, l’accordo va inteso quale esercizio congiunto del potere dispositivo riconosciuto alle parti, al quale la giurisprudenza ricollega la conseguenza di porre nel nulla il giudizio e la pregressa attività processuale, ad eccezione delle sentenze già passate in giudicato. In definitiva, la soluzione predisposta dalla giurisprudenza civile relativamente alla problematica del fatto sopravvenuto consiste nell’attribuire una particolare efficacia – dispositiva del processo oppure modificativa dei caratteri propri del fatto – all’accordo tra le parti, il che potrà avvenire solamente allorquando il fatto sopravvenuto possegga la qualità di elemento risolutore della controversia dedotta in giudizio. Non sempre, però, l’avvento del fatto sortisce l’effetto di acquietare le parti: può darsi che l’accordo non si formi perché il convenuto non concordi sulle conseguenze giuridiche riconducibili all’evento oppure perché l’attore ambisca a ottenere una pronuncia di merito quanto alla domanda spiegata. Il permanere del dissenso tra le parti preclude una terminazione anzitempo del processo per avvenuta cessazione della materia del contendere. Preso atto dei limiti della soluzione giurisprudenziale, ci si è soffermati sull’ipotesi di mancato accordo, analizzando l’efficacia e l’incidenza, sul processo in corso, dei diversi fatti sopravvenuti. La soluzione proposta si presenta diversificata a seconda della tipologia di fatto sopravvenuto: per le ipotesi di autocomposizione della lite si ritiene che la soluzione auspicabile sia quella in grado di preservare l’autonomia e la libertà decisionale dell’organo giudicante, mentre, per le ipotesi di sopravvenuta estinzione della situazione giuridica dedotta a titolo della domanda, la soluzione potrebbe essere nel senso di onerare l’attore di porre in essere una riduzione della propria domanda. Pertanto, qualora il fatto sopravvenuto non comporti la riappacificazione tra gli originari contendenti, oppure, semplicemente, la parte ambisca a ottenere una pronuncia di merito idonea al giudicato, si ritiene che l’attore possa adeguare la situazione processuale alla mutata realtà sostanziale mediante una riduzione della domanda al substrato di mero accertamento (proprio di tutte le tipologie di domanda giudiziale). Così facendo, la domanda – ridotta – conserverebbe la propria efficacia propulsiva, in grado di condurre il processo sino a una sentenza di merito favorevole all’attore.File | Dimensione | Formato | |
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