L’oggetto della tesi – che si inserisce entro la cornice tematica e teorica del dottorato internazionale «Comunicazione politica dall'antichità al XX secolo» – è l’esercizio della pena di morte e l’intervento della grazia sovrana nei processi penali istruiti nel Regno Lombardo-Veneto durante Vormärz (1816-1848). Alcune considerazioni preliminari hanno fin dal principio orientato la ricerca. Innanzitutto, lo jus aggratiandi va collocato all’interno di una sorta di “campo di tensione”: la potestà di clemenza, in linea teorica, poteva essere arbitrariamente esercitata dall’imperatore, in nome della sua posizione istituzionale che lo riconosceva titolare di tutte le funzioni pubbliche dello Stato, quindi conseguentemente abilitato ad intervenire con atti generali o particolari nell'esercizio di esse; un retaggio, questo, della giustizia di antico regime che si inseriva nel solco di una tradizionale concezione del perdono e, in generale, della risoluzione dei conflitti, fortemente caratterizzata da implicazioni religiose. Allo stesso tempo, tale prerogativa sovrana era tuttavia normata dal codice penale e, come ha rivelato la prassi desumibile dalle fonti giudiziarie, implicitamente ben delimitata. Secondariamente, l’esercizio della grazia va posto in relazione “biunivoca” con la specificità sociale, politica, istituzionale e giuridica del contesto in cui esso trovava applicazione. Le politiche e le strategie di repressione, punizione e clemenza rispecchiano infatti le modalità attraverso le quali il potere comunica con la società, ma informano anche su come la società comunichi con il potere: una premessa teorica e metodologica che rimanda all'approccio di Mario Sbriccoli, secondo il quale il diritto penale, riflettendo determinati “segni” del contesto sociale e politico in cui viene esercitato, è allo stesso tempo da esso condizionato. La materia è trattata in una struttura tripartita, ossia nella macrosezioni norma, teoria e prassi. La parte normativa (primo capitolo) è dedicata al percorso e alle istituzioni giudiziarie e politiche attraverso cui si dipanava, secondo il codice criminale del 1803, il processo penale in generale e, nello specifico, i procedimenti conclusisi con sentenza capitale, i quali percorrevano tutta la piramide giudiziaria essendo automaticamente soggetti all'ultima revisione dell'imperatore che poteva confermare la condanna o concedere la grazia. La norma, si vuole sottolineare, non è quindi da intendersi avulsa dall'applicazione pratica del codice: i meccanismi delle istanze e delle revisioni, il concreto margine decisionale dei tribunali lombardo-veneti, specialmente in sede di irrogazione delle condanne capitali e di proposta di grazia, e le competenze dei dicasteri aulici viennesi rispetto all'amministrazione giudiziaria del Regno sono misurabili solo attraverso l'analisi delle centinaia dei fascicoli processuali prodotti nel periodo qui preso in esame. Oltre a ciò, il capitolo inquadra l’importante questione della reintroduzione della pena di morte dopo l’abolizione giuseppina e le norme regolanti il diritto di grazia. La seconda parte (secondo capitolo) è volta a definire la sistemazione concettuale della grazia e della pena capitale, nonché la “comunicazione giuridica” di tale sistemazione, all'interno del circuito di produzione e diffusione di opere giurisprudenziali nel Regno Lombardo-Veneto, anche in rapporto all'ambito tedesco; allo scopo primario di misurare il livello di intersecazione tra il piano dell’elaborazione teorica e il piano della prassi giudiziaria. La terza parte dedicata alla prassi, ovvero ai casi concreti di irrogazione delle pene di morte e di commutazione delle stesse in via di grazia, è a sua volta tripartita nei capitoli terzo, quarto e quinto. I primi due capitoli analizzano la frequenza delle sentenze capitali inflitte rispettivamente per delitti comuni e nei processi per alto tradimento, nonché gli orientamenti giuridici e, in senso esteso, politici, secondo i quali esse venivano confermate oppure graziate. Nel quinto capitolo, infine, viene indagata l’attività di un importante istituto in vigore in Lombardia accanto ai tribunali ordinari – del quale non esistono tuttavia testimonianze documentali dirette –, ossia il giudizio statario: una procedura processuale “d’eccezione”, rapida e sommaria, il cui utilizzo era consentito dal codice penale in casi di emergenza sociale.

Pena di morte e grazia sovrana nel Regno Lombardo-Veneto (1816-1848) / Brunet, Francesca. - (2013), pp. 1-305.

Pena di morte e grazia sovrana nel Regno Lombardo-Veneto (1816-1848)

Brunet, Francesca
2013-01-01

Abstract

L’oggetto della tesi – che si inserisce entro la cornice tematica e teorica del dottorato internazionale «Comunicazione politica dall'antichità al XX secolo» – è l’esercizio della pena di morte e l’intervento della grazia sovrana nei processi penali istruiti nel Regno Lombardo-Veneto durante Vormärz (1816-1848). Alcune considerazioni preliminari hanno fin dal principio orientato la ricerca. Innanzitutto, lo jus aggratiandi va collocato all’interno di una sorta di “campo di tensione”: la potestà di clemenza, in linea teorica, poteva essere arbitrariamente esercitata dall’imperatore, in nome della sua posizione istituzionale che lo riconosceva titolare di tutte le funzioni pubbliche dello Stato, quindi conseguentemente abilitato ad intervenire con atti generali o particolari nell'esercizio di esse; un retaggio, questo, della giustizia di antico regime che si inseriva nel solco di una tradizionale concezione del perdono e, in generale, della risoluzione dei conflitti, fortemente caratterizzata da implicazioni religiose. Allo stesso tempo, tale prerogativa sovrana era tuttavia normata dal codice penale e, come ha rivelato la prassi desumibile dalle fonti giudiziarie, implicitamente ben delimitata. Secondariamente, l’esercizio della grazia va posto in relazione “biunivoca” con la specificità sociale, politica, istituzionale e giuridica del contesto in cui esso trovava applicazione. Le politiche e le strategie di repressione, punizione e clemenza rispecchiano infatti le modalità attraverso le quali il potere comunica con la società, ma informano anche su come la società comunichi con il potere: una premessa teorica e metodologica che rimanda all'approccio di Mario Sbriccoli, secondo il quale il diritto penale, riflettendo determinati “segni” del contesto sociale e politico in cui viene esercitato, è allo stesso tempo da esso condizionato. La materia è trattata in una struttura tripartita, ossia nella macrosezioni norma, teoria e prassi. La parte normativa (primo capitolo) è dedicata al percorso e alle istituzioni giudiziarie e politiche attraverso cui si dipanava, secondo il codice criminale del 1803, il processo penale in generale e, nello specifico, i procedimenti conclusisi con sentenza capitale, i quali percorrevano tutta la piramide giudiziaria essendo automaticamente soggetti all'ultima revisione dell'imperatore che poteva confermare la condanna o concedere la grazia. La norma, si vuole sottolineare, non è quindi da intendersi avulsa dall'applicazione pratica del codice: i meccanismi delle istanze e delle revisioni, il concreto margine decisionale dei tribunali lombardo-veneti, specialmente in sede di irrogazione delle condanne capitali e di proposta di grazia, e le competenze dei dicasteri aulici viennesi rispetto all'amministrazione giudiziaria del Regno sono misurabili solo attraverso l'analisi delle centinaia dei fascicoli processuali prodotti nel periodo qui preso in esame. Oltre a ciò, il capitolo inquadra l’importante questione della reintroduzione della pena di morte dopo l’abolizione giuseppina e le norme regolanti il diritto di grazia. La seconda parte (secondo capitolo) è volta a definire la sistemazione concettuale della grazia e della pena capitale, nonché la “comunicazione giuridica” di tale sistemazione, all'interno del circuito di produzione e diffusione di opere giurisprudenziali nel Regno Lombardo-Veneto, anche in rapporto all'ambito tedesco; allo scopo primario di misurare il livello di intersecazione tra il piano dell’elaborazione teorica e il piano della prassi giudiziaria. La terza parte dedicata alla prassi, ovvero ai casi concreti di irrogazione delle pene di morte e di commutazione delle stesse in via di grazia, è a sua volta tripartita nei capitoli terzo, quarto e quinto. I primi due capitoli analizzano la frequenza delle sentenze capitali inflitte rispettivamente per delitti comuni e nei processi per alto tradimento, nonché gli orientamenti giuridici e, in senso esteso, politici, secondo i quali esse venivano confermate oppure graziate. Nel quinto capitolo, infine, viene indagata l’attività di un importante istituto in vigore in Lombardia accanto ai tribunali ordinari – del quale non esistono tuttavia testimonianze documentali dirette –, ossia il giudizio statario: una procedura processuale “d’eccezione”, rapida e sommaria, il cui utilizzo era consentito dal codice penale in casi di emergenza sociale.
2013
XXIII
2012-2013
Lettere e filosofia (29/10/12-)
Political Communication from the past to the twentieth century (in collaboration with Goethe Universität - Frankfurt am Main)
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