Il tema dell’interpretazione, da sempre al centro dell’attenzione e oggetto di dibattito sia a livello dottrinale che giurisprudenziale, rispecchia la generale concezione del contratto nell’ordinamento giuridico. Le differenti posizioni sull’argomento si collocano nella prospettiva di una tensione tra certezza e prevedibilità da un lato, flessibilità e giustizia dell’esito interpretativo dall’altro, in una contrapposizione tra differenti valori ed interessi, la cui composizione offre una chiave di lettura privilegiata per cogliere gli orientamenti generali del diritto contrattuale . Al procedimento di ermeneutica è infatti affidato il compito di ricostruire la portata dell’atto di autoregolamentazione, onde consentire la valutazione da parte dell’ordinamento giuridico dell’interesse perseguito con il medesimo, l’inserimento dell’atto all’interno degli schemi qualificatori predisposti dall’ordinamento e, infine, l’attribuzione ad esso dell’effetto giuridico. La disciplina dell’interpretazione del contratto trova nell’ordinamento italiano specifica regolamentazione nel codice civile agli artt. 1362 – 1371. Si tratta di norme a portata precettiva , per cui, sulla loro corretta applicazione , è ammessa la sindacabilità da parte della Corte di Cassazione. In particolare, il controllo esercitato dalla Corte Suprema in tema di interpretazione del contratto si spinge sino alla valutazione della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale del ragionamento condotto dal giudice di merito per pervenire alla pronuncia della decisione impugnata, senza tuttavia effettuare valutazioni ed accertamenti di fatto, devoluti istituzionalmente al giudice di merito . Davanti alla Corte di Legittimità il vaglio potrà riguardare, eventualmente, solo l’interpretazione in quanto attività. Su questa premessa si incardina il noto principio del “gradualismo„ , in base al quale i canoni ermeneutici indicati nel codice civile trovano applicazione graduale, per cui il giudice nel processo interpretativo è tenuto ad applicare tali criteri in un preciso ordine cronologico. Si tratta di un principio che svolge essenzialmente due funzioni: da un lato vincola il giudice di merito all’adozione di una metodologia interpretativa, trasformandosi poi, ex post, in uno strumento di controllo del suo operato; dall’altro, onera il ricorrente a contestare precise violazioni di legge in ordine al procedimento ermeneutico adottato dal giudice . Quanto al contenuto del menzionato principio , il presupposto argomentativo è pressoché pacifico nella giurisprudenza di legittimità: si parte dalla divisione delle norme relative all’interpretazione del contratto in due gruppi, espressione di due distinti criteri ermeneutici, soggettivi ed oggettivi. Sono riconducibili alla prima categoria le regole di cui agli articoli dal 1362 al 1365, contenenti criteri volti a risalire alla reale e comune volontà delle parti. Gli articoli successivi, dal 1367 al 1371 cod. civ., che enunciano criteri ermeneutici oggettivi, mirano ad integrare la volontà dei contraenti conferendo un significato al contratto. Essi trovano applicazione solamente nelle ipotesi in cui, nonostante il ricorso agli strumenti interpretativi individuati nel primo gruppo, non sia stato possibile stabilire la comune intenzione delle parti. L’art. 1366 cod. civ. – “Interpretazione di buona fede” –, infine, si colloca sistematicamente in posizione intermedia rispetto alle due categorie menzionate ed è controversa in dottrina la sua definizione in termini di interpretazione soggettiva, ovvero oggettiva.
Cenni all'interpretazione del contratto nell'ordinamento italiano
Moscon, Valentina
2008-01-01
Abstract
Il tema dell’interpretazione, da sempre al centro dell’attenzione e oggetto di dibattito sia a livello dottrinale che giurisprudenziale, rispecchia la generale concezione del contratto nell’ordinamento giuridico. Le differenti posizioni sull’argomento si collocano nella prospettiva di una tensione tra certezza e prevedibilità da un lato, flessibilità e giustizia dell’esito interpretativo dall’altro, in una contrapposizione tra differenti valori ed interessi, la cui composizione offre una chiave di lettura privilegiata per cogliere gli orientamenti generali del diritto contrattuale . Al procedimento di ermeneutica è infatti affidato il compito di ricostruire la portata dell’atto di autoregolamentazione, onde consentire la valutazione da parte dell’ordinamento giuridico dell’interesse perseguito con il medesimo, l’inserimento dell’atto all’interno degli schemi qualificatori predisposti dall’ordinamento e, infine, l’attribuzione ad esso dell’effetto giuridico. La disciplina dell’interpretazione del contratto trova nell’ordinamento italiano specifica regolamentazione nel codice civile agli artt. 1362 – 1371. Si tratta di norme a portata precettiva , per cui, sulla loro corretta applicazione , è ammessa la sindacabilità da parte della Corte di Cassazione. In particolare, il controllo esercitato dalla Corte Suprema in tema di interpretazione del contratto si spinge sino alla valutazione della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale del ragionamento condotto dal giudice di merito per pervenire alla pronuncia della decisione impugnata, senza tuttavia effettuare valutazioni ed accertamenti di fatto, devoluti istituzionalmente al giudice di merito . Davanti alla Corte di Legittimità il vaglio potrà riguardare, eventualmente, solo l’interpretazione in quanto attività. Su questa premessa si incardina il noto principio del “gradualismo„ , in base al quale i canoni ermeneutici indicati nel codice civile trovano applicazione graduale, per cui il giudice nel processo interpretativo è tenuto ad applicare tali criteri in un preciso ordine cronologico. Si tratta di un principio che svolge essenzialmente due funzioni: da un lato vincola il giudice di merito all’adozione di una metodologia interpretativa, trasformandosi poi, ex post, in uno strumento di controllo del suo operato; dall’altro, onera il ricorrente a contestare precise violazioni di legge in ordine al procedimento ermeneutico adottato dal giudice . Quanto al contenuto del menzionato principio , il presupposto argomentativo è pressoché pacifico nella giurisprudenza di legittimità: si parte dalla divisione delle norme relative all’interpretazione del contratto in due gruppi, espressione di due distinti criteri ermeneutici, soggettivi ed oggettivi. Sono riconducibili alla prima categoria le regole di cui agli articoli dal 1362 al 1365, contenenti criteri volti a risalire alla reale e comune volontà delle parti. Gli articoli successivi, dal 1367 al 1371 cod. civ., che enunciano criteri ermeneutici oggettivi, mirano ad integrare la volontà dei contraenti conferendo un significato al contratto. Essi trovano applicazione solamente nelle ipotesi in cui, nonostante il ricorso agli strumenti interpretativi individuati nel primo gruppo, non sia stato possibile stabilire la comune intenzione delle parti. L’art. 1366 cod. civ. – “Interpretazione di buona fede” –, infine, si colloca sistematicamente in posizione intermedia rispetto alle due categorie menzionate ed è controversa in dottrina la sua definizione in termini di interpretazione soggettiva, ovvero oggettiva.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione