La Consulta dichiara in parte infondata e in parte inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla prima Sezione della Cassazione ex artt. 3, 25, 27, 117 Cost. in relazione agli artt. 7 Cedu e 4 Protocollo n. 7 Cedu, dei commi 2° e 2°-quater dell’art. 41-bis ord. pen. sul c.d. carcere duro nella parte in cui prevedono la facoltà di sospendere l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla stessa legge, con adozione obbligatoria delle misure enunciate nel comma 2°-quater, nei confronti degli internati, assoggettati a misura di sicurezza detentiva. L’affermazione del giudice a quo, secondo cui la misura di sicurezza della casa lavoro verrebbe ad assumere, per l’internato imputabile cui sia stato applicato il regime differenziale, contenuti analoghi a quelli della pena risolvendosi in una duplicazione del trattamento sanzionatorio in grado di svilire i tratti caratterizzanti la misura di sicurezza, è stata confutata con forza dalla Consulta sulla base di una certa interpretazione dell’art. 41-bis ord. pen. riferito agli internati in casa lavoro: i contenuti della misura della casa lavoro e della pena si caratterizzerebbero per una differenza contenutistica sostanziale consistente nella necessità per l’amministrazione penitenziaria di riconoscere la possibilità di lavorare all’internato. Il commento cerca di mettere in luce la fallacia dell’assunto di partenza del ragionamento della Consulta, laddove la necessità di ricorrere al bilanciamento tra diverse esigenze preventive e rieducative, così come previsto nel 2° comma dell’art. 41-bis ord. pen., deve necessariamente interessare anche il detenuto in regime di 41-bis ord. pen. e non il solo internato, essendo il lavoro per lo stesso detenuto uno tra gli strumenti più importanti in grado di testimoniare il percorso rieducativo intrapreso. La tesi della Cassazione, che vede nella misura di sicurezza applicata in regime di carcere duro una duplicazione dei contenuti afflittivi della pena non sembra dunque, de iure condito, poter essere sconfessata, né le indicazioni fornite dalla Consulta in chiave risocializzante sembrano poter essere cifra esclusiva della misura di sicurezza della casa lavoro, conclusione questa che corrobora ancora una volta la necessità ormai ineludibile del superamento del doppio binario o, quantomeno, della previsione della non applicazione del regime differenziato agli internati.
Internati e 41-bis ord. penit.: tra duplicazione di pena e principio rieducativo / Menghini, Antonia. - In: GIURISPRUDENZA ITALIANA. - ISSN 1125-3029. - STAMPA. - 2022:3(2022), pp. 725-732.
Internati e 41-bis ord. penit.: tra duplicazione di pena e principio rieducativo
Menghini, Antonia
2022-01-01
Abstract
La Consulta dichiara in parte infondata e in parte inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla prima Sezione della Cassazione ex artt. 3, 25, 27, 117 Cost. in relazione agli artt. 7 Cedu e 4 Protocollo n. 7 Cedu, dei commi 2° e 2°-quater dell’art. 41-bis ord. pen. sul c.d. carcere duro nella parte in cui prevedono la facoltà di sospendere l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla stessa legge, con adozione obbligatoria delle misure enunciate nel comma 2°-quater, nei confronti degli internati, assoggettati a misura di sicurezza detentiva. L’affermazione del giudice a quo, secondo cui la misura di sicurezza della casa lavoro verrebbe ad assumere, per l’internato imputabile cui sia stato applicato il regime differenziale, contenuti analoghi a quelli della pena risolvendosi in una duplicazione del trattamento sanzionatorio in grado di svilire i tratti caratterizzanti la misura di sicurezza, è stata confutata con forza dalla Consulta sulla base di una certa interpretazione dell’art. 41-bis ord. pen. riferito agli internati in casa lavoro: i contenuti della misura della casa lavoro e della pena si caratterizzerebbero per una differenza contenutistica sostanziale consistente nella necessità per l’amministrazione penitenziaria di riconoscere la possibilità di lavorare all’internato. Il commento cerca di mettere in luce la fallacia dell’assunto di partenza del ragionamento della Consulta, laddove la necessità di ricorrere al bilanciamento tra diverse esigenze preventive e rieducative, così come previsto nel 2° comma dell’art. 41-bis ord. pen., deve necessariamente interessare anche il detenuto in regime di 41-bis ord. pen. e non il solo internato, essendo il lavoro per lo stesso detenuto uno tra gli strumenti più importanti in grado di testimoniare il percorso rieducativo intrapreso. La tesi della Cassazione, che vede nella misura di sicurezza applicata in regime di carcere duro una duplicazione dei contenuti afflittivi della pena non sembra dunque, de iure condito, poter essere sconfessata, né le indicazioni fornite dalla Consulta in chiave risocializzante sembrano poter essere cifra esclusiva della misura di sicurezza della casa lavoro, conclusione questa che corrobora ancora una volta la necessità ormai ineludibile del superamento del doppio binario o, quantomeno, della previsione della non applicazione del regime differenziato agli internati.File | Dimensione | Formato | |
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