Il presente saggio, redatto in lingua inglese, si propone di evidenziare l’estrema innovazione della struttura semiotico-simbolica del romanzo La chiesa della solitudine, pubblicato l’anno della morte di Deledda (1936), e che apparentemente tematizza la sua battaglia personale col cancro (le fu diagnosticato nel 1928). Malgrado un’apparente continuità col lavoro deleddiano precedente, per la presenza di spunti tematici ricorrrenti (amore tragico, peccato, rimorso ed espiazione), una modalità ermeneutica non tradizionale può evidenziare una straordinaria innovazione nella duplice articolazione della temporalità nel romanzo, che, lungi dall’essere “mitologicamente borghese” (Barthes), e quindi sostanzialmente ottocentesco nel suo impianto narrativo, si configura come nettamente partecipe dell’epistemé della modernità (come definita da Vattimo). Vi si trova una nuova concezione del tempo, sia come componente tematica che semiotica (cioè sia nella narrazione che della narrazione). Questa duplice significazione del tempo/ dei tempi consente l’espressione di una visione del mondo trasformata e trasformativa, una visione che differisce sostanzialmente da quella riscontrabile in precedenti romanzi deleddiani, che erano più lineari e “coerenti” nel loro sviluppo temporale. Il romanzo tradizionale si basa su una concezione lineare del tempo; il romanzo modernista o postmoderno testimoniano invece la perdita del senso evolutivo della temporalità. Questo romanzo non finisce tradizionalmente, con la morte o il matrimonio della protagonista; piuttosto, la morte è iscritta dento ad ogni motivo narrativo la cui valenza semantica dipende dal diverso sguardo sul mondo di ogni personaggio. La morte si rivela come il meccanismo propulsore della narrazione e come la condizione di assunzione della scrittura, come estrema resistenza, costretta al fallimento (Blanchot), e non, come sarebbe tradizionalmente, un finale tragico. La mancanza della fine della storia è evidente: Concezione non muore, né cade tra le braccia di Aroldo, il “forestiero” redento, né si risolve la sua ambigua eredità fuorilegge. Tutto ciò rivela una scelta autoriale a favore dell’entropia, contro la chiarezza di un esito risolutivo. Il differimento prodotto dal testo, e che va oltre la rappresentazione della fine della storia, è il tempo guadagnato alla scrittura. La modalità ermeneutica di tipo semiotico e decostruttivo che anima questo saggio può contrastare una critica tradizionale che ha racchiuso il canone deleddiano in parametri storiografici semplicemente tematici o estetici (regionalismo, lirismo, simbolismo, “verismo” e/o “decadentismo”), perdendo la dimensione cognitiva e culturalmente innovativa di questa narrazione.
Waiting in a Dream-Time, Waiting in a Life-time: Deledda's Subversion of "Verista" Narratives in La chiesa della solitudine
Locatelli, Carla
2007-01-01
Abstract
Il presente saggio, redatto in lingua inglese, si propone di evidenziare l’estrema innovazione della struttura semiotico-simbolica del romanzo La chiesa della solitudine, pubblicato l’anno della morte di Deledda (1936), e che apparentemente tematizza la sua battaglia personale col cancro (le fu diagnosticato nel 1928). Malgrado un’apparente continuità col lavoro deleddiano precedente, per la presenza di spunti tematici ricorrrenti (amore tragico, peccato, rimorso ed espiazione), una modalità ermeneutica non tradizionale può evidenziare una straordinaria innovazione nella duplice articolazione della temporalità nel romanzo, che, lungi dall’essere “mitologicamente borghese” (Barthes), e quindi sostanzialmente ottocentesco nel suo impianto narrativo, si configura come nettamente partecipe dell’epistemé della modernità (come definita da Vattimo). Vi si trova una nuova concezione del tempo, sia come componente tematica che semiotica (cioè sia nella narrazione che della narrazione). Questa duplice significazione del tempo/ dei tempi consente l’espressione di una visione del mondo trasformata e trasformativa, una visione che differisce sostanzialmente da quella riscontrabile in precedenti romanzi deleddiani, che erano più lineari e “coerenti” nel loro sviluppo temporale. Il romanzo tradizionale si basa su una concezione lineare del tempo; il romanzo modernista o postmoderno testimoniano invece la perdita del senso evolutivo della temporalità. Questo romanzo non finisce tradizionalmente, con la morte o il matrimonio della protagonista; piuttosto, la morte è iscritta dento ad ogni motivo narrativo la cui valenza semantica dipende dal diverso sguardo sul mondo di ogni personaggio. La morte si rivela come il meccanismo propulsore della narrazione e come la condizione di assunzione della scrittura, come estrema resistenza, costretta al fallimento (Blanchot), e non, come sarebbe tradizionalmente, un finale tragico. La mancanza della fine della storia è evidente: Concezione non muore, né cade tra le braccia di Aroldo, il “forestiero” redento, né si risolve la sua ambigua eredità fuorilegge. Tutto ciò rivela una scelta autoriale a favore dell’entropia, contro la chiarezza di un esito risolutivo. Il differimento prodotto dal testo, e che va oltre la rappresentazione della fine della storia, è il tempo guadagnato alla scrittura. La modalità ermeneutica di tipo semiotico e decostruttivo che anima questo saggio può contrastare una critica tradizionale che ha racchiuso il canone deleddiano in parametri storiografici semplicemente tematici o estetici (regionalismo, lirismo, simbolismo, “verismo” e/o “decadentismo”), perdendo la dimensione cognitiva e culturalmente innovativa di questa narrazione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione