Il dibattito intorno al danno alla persona ha radici profonde e porta con sé questioni non solo regolatorie ma anche, in un’ottica più generale, inerenti alle funzioni della responsabilità civile nell’ordinamento giuridico, in quanto strumento di regolamentazione sociale. L’evoluzione che il sistema di risarcimento del danno alla persona ha subito dall’entrata in vigore del codice civile, è paradigmatica del passaggio da una concezione prevalentemente sanzionatoria della responsabilità aquiliana (mirante a punire i fatti illeciti), cui sembrava rispondere il Codice civile al momento della sua entrata in vigore, alla valorizzazione della funzione compensatoria del risarcimento del danno. Tale mutamento, concretizzatosi grazie allo sforzo della dottrina e della giurisprudenza, si è tradotto, in termini giuridici, sia nel passaggio da una visione improntata alla punibilità del “fatto illecito” ad una mirante alla risarcibilità del “danno ingiusto”; sia nella valorizzazione del danno alla persona. Il percorso evolutivo della responsabilità civile, pur con qualche battuta d’arresto - specie in materia di danno tanatologico (o danno da uccisione, inteso nel senso di danno non patrimoniale da perdita della vita trasmissibile iure ereditario) - ha visto una giurisprudenza sempre più attenta alla necessità di risarcire le lesioni dei diritti fondamentali della persona, avendo riguardo non solo al danno patrimoniale, ma anche e soprattutto a quello non patrimoniale. Proprio la risarcibilità di quest’ultima voce di danno è stata oggetto di numerosi revirement giurisprudenziali; più di una volta anche la Corte Costituzionale è stata chiamata al vaglio di costituzionalità dell’art. 2059 cod.civ. Con le spinte sociali dei primi anni Settanta, l’assetto tradizionale del sistema civilistico, che già scricchiolava nel decennio precedente - in cui si cominciava ad elaborare una serie di “nuovi danni” tesi ad aggirare l’ostacolo della non risarcibilità - andò definitivamente in crisi. Si aprì un’ampia riflessione sulla rilevanza della salute nei rapporti privati, sul danno alla persona e sulla nozione di patrimonio. L’idea che la categoria del danno risarcibile non si esaurisce in quello patrimoniale e morale soggettivo (la cui risarcibilità, come visto, era strettamente limitata ai soli casi previsti dalla legge) si concretizzava, grazie ad un complesso percorso seguito da dottrina e giurisprudenza, nella nozione di danno biologico. A partire dal 2003 il sistema di risarcimento del danno alla persona muta la propria struttura: sono infatti intervenute due importanti sentenze della Cassazione (nn. 8827, 8828) ed a seguire una pronuncia della Corte Costituzionale (n. 233 del 2003) qualificate dalla dottrina come rivoluzionarie. I Giudici Supremi, infatti, per la prima volta stabilivano che il riferimento ai “casi determinati dalla legge”, contenuto nell’art. 2059 cod. civ., dovesse essere inteso come un rimando alla Carta Costituzionale. In tal modo la Corte riportava la risarcibilità dei danni non patrimoniali, incluso il danno biologico, nell’alveo dell’art. 2059 cod. civ., affermando che, in relazione ad un’interpretazione costituzionalmente orientata, il danno non patrimoniale deve essere inteso nella sua accezione più ampia di danno, determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona. Vengono quindi meno per i danni da lesione di diritti costituzionali della persona entrambi i limiti che avevano provocato la “fuga” dall’art. 2059 cod. civ. e scompare anche l’utilità della categoria del danno evento: tutti i danni non patrimoniali transitano all’art. 2059 cod. civ. costituzionalmente interpretato, per cui si ritorna al sistema dualistico dei “danni–conseguenza”, siano essi patrimoniali, che non patrimoniali. Ciò significa, in altri termini, che laddove vi sia la lesione di un interesse costituzionalmente protetto, sebbene non sia integrata un’ipotesi di reato, il danno deve essere risarcito. Le sentenze in esame hanno tracciato la via da seguire, senza tuttavia pretendere di cristallizzare definitivamente la disciplina del danno non patrimoniale. Riportata la responsabilità aquiliana nell’ambito della “bipolarità” prevista dal codice vigente tra danno patrimoniale (art. 2043 cod. civ.) e danno non patrimoniale (art. 2059 cod. civ.), si è posto il problema della permanente utilità della categoria dogmatica del danno esistenziale e delle altre vici di danno incluse nel danno non patrimoniale. Il pezzo si ripropone di offrire al lettore una guida nella lettura della evoluzione giurisprudenziale del risarcimento del danno non patrimoniale giungendo sino alle recenti pronunce delle Sezioni Unite del 2008.
Il ruolo creativo della giurisprudenza nella definizione del sistema di risarcimento del danno non patrimoniale alla persona: dal codice del 1942 alle pronunce di S. Martino
Moscon, Valentina
2011-01-01
Abstract
Il dibattito intorno al danno alla persona ha radici profonde e porta con sé questioni non solo regolatorie ma anche, in un’ottica più generale, inerenti alle funzioni della responsabilità civile nell’ordinamento giuridico, in quanto strumento di regolamentazione sociale. L’evoluzione che il sistema di risarcimento del danno alla persona ha subito dall’entrata in vigore del codice civile, è paradigmatica del passaggio da una concezione prevalentemente sanzionatoria della responsabilità aquiliana (mirante a punire i fatti illeciti), cui sembrava rispondere il Codice civile al momento della sua entrata in vigore, alla valorizzazione della funzione compensatoria del risarcimento del danno. Tale mutamento, concretizzatosi grazie allo sforzo della dottrina e della giurisprudenza, si è tradotto, in termini giuridici, sia nel passaggio da una visione improntata alla punibilità del “fatto illecito” ad una mirante alla risarcibilità del “danno ingiusto”; sia nella valorizzazione del danno alla persona. Il percorso evolutivo della responsabilità civile, pur con qualche battuta d’arresto - specie in materia di danno tanatologico (o danno da uccisione, inteso nel senso di danno non patrimoniale da perdita della vita trasmissibile iure ereditario) - ha visto una giurisprudenza sempre più attenta alla necessità di risarcire le lesioni dei diritti fondamentali della persona, avendo riguardo non solo al danno patrimoniale, ma anche e soprattutto a quello non patrimoniale. Proprio la risarcibilità di quest’ultima voce di danno è stata oggetto di numerosi revirement giurisprudenziali; più di una volta anche la Corte Costituzionale è stata chiamata al vaglio di costituzionalità dell’art. 2059 cod.civ. Con le spinte sociali dei primi anni Settanta, l’assetto tradizionale del sistema civilistico, che già scricchiolava nel decennio precedente - in cui si cominciava ad elaborare una serie di “nuovi danni” tesi ad aggirare l’ostacolo della non risarcibilità - andò definitivamente in crisi. Si aprì un’ampia riflessione sulla rilevanza della salute nei rapporti privati, sul danno alla persona e sulla nozione di patrimonio. L’idea che la categoria del danno risarcibile non si esaurisce in quello patrimoniale e morale soggettivo (la cui risarcibilità, come visto, era strettamente limitata ai soli casi previsti dalla legge) si concretizzava, grazie ad un complesso percorso seguito da dottrina e giurisprudenza, nella nozione di danno biologico. A partire dal 2003 il sistema di risarcimento del danno alla persona muta la propria struttura: sono infatti intervenute due importanti sentenze della Cassazione (nn. 8827, 8828) ed a seguire una pronuncia della Corte Costituzionale (n. 233 del 2003) qualificate dalla dottrina come rivoluzionarie. I Giudici Supremi, infatti, per la prima volta stabilivano che il riferimento ai “casi determinati dalla legge”, contenuto nell’art. 2059 cod. civ., dovesse essere inteso come un rimando alla Carta Costituzionale. In tal modo la Corte riportava la risarcibilità dei danni non patrimoniali, incluso il danno biologico, nell’alveo dell’art. 2059 cod. civ., affermando che, in relazione ad un’interpretazione costituzionalmente orientata, il danno non patrimoniale deve essere inteso nella sua accezione più ampia di danno, determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona. Vengono quindi meno per i danni da lesione di diritti costituzionali della persona entrambi i limiti che avevano provocato la “fuga” dall’art. 2059 cod. civ. e scompare anche l’utilità della categoria del danno evento: tutti i danni non patrimoniali transitano all’art. 2059 cod. civ. costituzionalmente interpretato, per cui si ritorna al sistema dualistico dei “danni–conseguenza”, siano essi patrimoniali, che non patrimoniali. Ciò significa, in altri termini, che laddove vi sia la lesione di un interesse costituzionalmente protetto, sebbene non sia integrata un’ipotesi di reato, il danno deve essere risarcito. Le sentenze in esame hanno tracciato la via da seguire, senza tuttavia pretendere di cristallizzare definitivamente la disciplina del danno non patrimoniale. Riportata la responsabilità aquiliana nell’ambito della “bipolarità” prevista dal codice vigente tra danno patrimoniale (art. 2043 cod. civ.) e danno non patrimoniale (art. 2059 cod. civ.), si è posto il problema della permanente utilità della categoria dogmatica del danno esistenziale e delle altre vici di danno incluse nel danno non patrimoniale. Il pezzo si ripropone di offrire al lettore una guida nella lettura della evoluzione giurisprudenziale del risarcimento del danno non patrimoniale giungendo sino alle recenti pronunce delle Sezioni Unite del 2008.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione