Lo strumento tecnologico caratterizza l’evoluzione culturale, costituendo non già un fine, bensì il mezzo attraverso cui perseguire gli obiettivi dell’uomo. Le relazioni tra tecnologia e società sono complesse e molteplici: taluni le descrivono come fattori che definiscono le relazioni tra l’uomo e l’ambiente in cui vive, altri ne assumono la neutralità, osservandone la natura di mero strumento nelle mani dell’uomo, non certo in grado di condizionarne il comportamento e la libertà. Nell’ambiente digitale, lo sviluppo del Digital Rights Management (DRM) dimostra – non solo nell’area del diritto d’autore - il ruolo centrale della tecnologia, votata a rafforzare e talvolta a sostituire la regolamentazione giuridica. Proprio come le barriere fisiche limitano il comportamento nello spazio “reale”, gli standard tecnici condizionano il comportamento nello spazio digitale . Un sistema informatico, ad esempio, può essere programmato per negare l’accesso senza una password, vietare il “login” simultaneamente da due terminali o proibire la modifica di un file per il quale è consentita la sola lettura. Nell’ambiente informazionale, in tal senso, ogni avanzamento della tecnologia può rendere possibile il massimo accesso ed espressione individuale, ma allo stesso tempo il massimo controllo sul comportamento del singolo. È evidente, dunque, come alcuni studiosi hanno osservato, che nello spazio digitale il prevalente strumento di regolamentazione non si identifica nella regola di diritto, ma in ciò che si definisce “architettura”: i comandi sono incorporati nei protocolli di comunicazione di Internet e nelle applicazioni software. Lo standard tecnico, sotto il controllo di chi lo predispone, conferisce di fatto a quest’ultimo il potere di “governare” il comportamento dei fruitori, divenendo dunque fonte di regola. La “rivoluzione” delle tecnologie digitali, in tal senso, non è paragonabile ai progressi tecnologici che l’hanno preceduta. Essa, infatti, investe il sistema delle fonti del diritto. Se, in generale, le implicazioni e mutue relazioni tra tecnica e diritto sono incontestabili, il legame è ancora più forte nell’era digitale: la regolamentazione del controllo delle informazioni digitali trova le sue fonti non solo nel diritto statale, ma anche nel contratto e nella tecnologia (oltre che nella consuetudine) . Il diritto statale vede parzialmente sgretolarsi la propria centralità, mentre cresce la rilevanza degli ordinamenti privati. In tale contesto, posto che tra regole informatiche e giuridiche sussiste una sostanziale differenza, sia in termini di legittimazione democratica che di struttura, il diritto è chiamato a rivendicare la propria supremazia, disciplinando la tecnologia e, al contempo, a servirsi di quest’ultima per perseguire i propri obiettivi, così giungendo alla creazione di nuove regole, che non si limitino a reagire alle trasformazioni indotte dalle tecnologie, ma contribuiscano a determinarne i modi di utilizzo . Al fine di comprendere e governare situazioni complesse, quali quelle conseguenti ai mutamenti tecnologici, il costante dialogo tra i saperi e l’analisi interdisciplinare, costituiscono un punto di partenza dal quale non si deve prescindere. Nella società dell’informazione gli eventi umani – per quanto tali nel loro essere fatti dell’uomo – hanno un’effettività sociale particolare in quanto rappresentati in forma di dati all’interno di sistemi informativi informatici. È proprio attraverso la rappresentazione informatica, infatti, che costituisce oramai la forma di espressione maggiormente diffusa, che si svolgono gran parte delle attività dotate di implicazioni giuridiche, economiche, amministrative e politiche. Con riguardo, in particolare, alla produzione e diffusione della conoscenza, l’ambiente digitale, muta profondamente gli scenari che caratterizzavano il diritto d’autore tradizionale, dischiudendo problematiche nuove. Le tecnologie informatiche e soprattutto l'impiego progressivo del World Wide Web hanno trasformato il meccanismo di trasmissione della conoscenza e di riproduzione della medesima: l’ironia sta nel fatto che nel momento storico in cui vi sono le tecnologie per rendere i dati scientifici disponibili a tutto il mondo ed elaborabili in maniera distribuita, le restrizioni tecnologiche sul trasferimento delle informazioni sono a tal punto forti da impedire la libera circolazione del sapere. Le misure tecnologiche, sono altresì rafforzate da un modello giuridico di circolazione della conoscenza basato sul self – enforcing dello strumento contrattuale . Questa tipologia di controllo si identifica nel DRM (Digital Rights Management), il cui obiettivo è rendere i termini della licenza per l’accesso e l’uso dell’informazione, riconoscibili dai software e dagli apparecchi costruiti per la fruizione dell’informazione. Il DRM, infatti, affida la sua forza all’autotutela tecnologica piuttosto che alla tutela statale . Per mezzo di sistemi DRM - composti sia di tecnologie di trasmissione e gestione delle informazioni sulle regole di utilizzo dei contenuti (metadati e Rights Expression Languages), sia di tecnologie in grado di dare esecuzione ai medesimi (misure tecnologiche di protezione MTP), impedendo, per esempio, la copia laddove non consentita - è possibile l’applicazione automatica (in personal computer, telefoni cellulari, televisioni, etc.) delle regole contenute nelle licenze impiegate per la distribuzione dei contenuti digitali . La tutela tecnologica, in realtà, prevale anche sul contratto, poiché i termini per l’accesso e l’uso dell’informazione sono tradotti in linguaggi informatici di espressione dei diritti, RELs (Rights Expression Languages) e per il loro tramite in codice binario, comprensibile solo dalle macchine. Diametralmente opposta è l’idea L’idea dell’accesso aperto alla ricerca scientifica, che ha dato vita al movimento rivoluzionario internazionale oggetto del presente convegno. Puntando ad allargare il ventaglio dei modelli di produzione e commercializzazione dell’informazione scientifica, essa, che si contrappone alla logica del DRM, muove dalla necessità di contrastare il rischio che il controllo rigido ed accentrato colonizzi la conoscenza scientifica, anche e soprattutto valorizzando l’uso delle tecnologie informatiche, della Rete, del Web e dei nuovi intermediari (archivi istituzionali, motori di ricerca Internet come Google Books Search e Google Scholar, etc.). Proprio tale ultimo profilo presenta aspetti di particolare interesse ed è oggetto di attenzione nel presente contributo; la circolazione dell’informazione in Rete diviene, infatti, un tema cruciale anche nell’ambito della distribuzione dell’informazione ad accesso aperto. Nel tentativo di ovviare alle barriere all’accesso e di favorire la massima visibilità dei risultati, attraverso la creazione di archivi aperti e di riviste di qualità liberamente accessibili, anche nell’ambito del movimento OA hanno preso vita numerose iniziative, non solo sul piano infrastrutturale, politico, istituzionale e culturale, ma anche tecnologico, per l’interoperabilità e il riuso dei contenuti digitali. Se, infatti, scopo principale del movimento è quello di garantire massima diffusione e riutilizzo dell’informazione e se lo spazio principale di circolazione dei contenuti è rappresentato dal Web, gli studi intorno alle tecniche di catalogazione e classificazione dell’informazione e dei relativi diritti nello spazio virtuale meritano particolare attenzione. L’interesse non solo scientifico ma anche a livello applicativo e di policy per quanto sopra è dimostrato pure dalle diverse iniziative volte alla creazione di standard per la rappresentazione delle informazioni digitali e dei diritti connessi alle risorse, ma anche dall’interessamento di organismi internazionali come la WIPO (World Intellectual Property Organisation) , e della stessa Commissione Europea . Tutti i progetti che fanno riferimento alla logica OA presentano forti analogie e, a ben vedere, si intersecano con la logica sottesa alle licenze Creative Commons (CC), ove lo sviluppo della conoscenza si basa sulla collaborazione di una comunità di persone, per far sì che altri ne controllino la qualità e venga, eventualmente, migliorato e modificato da una catena di persone. Le licenze CC sui contenuti digitali rappresentano nuovi modelli di distribuzione della conoscenza in cui gli autori, attraverso l’adozione di una licenza CC, manifestano il proprio consenso allo sfruttamento della propria opera da parte degli archivi OA. Le licenze CC rappresentano in questo senso uno strumento estremamente utile per il perseguimento degli obiettivi dell’OA. Il movimento CC – da cui prende vita poi il progetto Science Commons con riguardo più nello specifico alla conoscenza scientifica - merita approfondimento: le licenze CC, avvalendosi di alcune tecnologie di riferimento dei sistemi DRM, si manifestano all’utente oltre che in forma leggibile all’uomo anche secondo un modello comprensibile alla macchina (machine – readable). Ciò grazie alle stesse tecnologie che consentono ai sistemi DRM di esercitare un rigido controllo sull’informazione, le quali, sviluppate da CC per facilitare la diffusione e la fruizione dei contenuti, possono servire all’opposto obiettivo di diffusione della conoscenza. CC dal 2002 sta infatti lavorando ad un progetto di incorporazione delle regole in codice informatico, facendo leva, per prima in questo campo, sulle tecnologie di base del web semantico, allo scopo di rendere le opere distribuite sul web quanto più possibile rintracciabili e riutilizzabili, favorendo la produzione di conoscenza. La realizzabilità di tale progetto presuppone l’elaborazione di metadati a contenuto giuridico destinati a circolare a livello globale; un’impresa che richiede uno sforzo di concettualizzazione e rappresentazione delle categorie giuridiche, ponendo in evidenza le questioni connesse alla traduzione ed incorporazione di queste ultime nell’architettura informatica. L’analisi dei linguaggi di espressione dei diritti (Rights Expression Languages –RELs-), che rappresenta ancora un terreno da esplorare all’interno del panorama giuridico italiano, allo stato della tecnologia pone in luce i forti limiti di questa forma di “comunicazione” destinata alla macchina. Limiti consistenti essenzialmente nel fatto che i linguaggi informatici non sono in grado di supportare la complessità dei concetti giuridici, che sempre implicano interpretazione e specifica applicazione al caso concreto. Scienza giuridica ed informatica sono poste dunque oggi di fronte alla sfida di consentire la circolazione e fruizione dell’informazione nell’Web, integrando tra l’altro anche regole di diritto nell’architettura informatica. Nei successivi paragrafi si intende fornire una breve descrizione di quelle che sono le tecnologie informatiche sviluppate nell’ambito dei sistemi DRM, prima, e da Creative Commons, poi, per la traduzione delle regole in codice informatico, mettendo in luce le differenze e soprattutto i diversi obiettivi che attraverso le medesime sono perseguiti. Nell’affrontare tale tematica emerge l’importanza di seguire percorsi interdisciplinari, gli unici in grado di fornire al giurista gli strumenti per svolgere il proprio ruolo anche nell’ambito di quello che viene definito “spazio digitale” .
Rappresentazione informatica dei diritti e diffusione della conoscenza
Moscon, Valentina
2010-01-01
Abstract
Lo strumento tecnologico caratterizza l’evoluzione culturale, costituendo non già un fine, bensì il mezzo attraverso cui perseguire gli obiettivi dell’uomo. Le relazioni tra tecnologia e società sono complesse e molteplici: taluni le descrivono come fattori che definiscono le relazioni tra l’uomo e l’ambiente in cui vive, altri ne assumono la neutralità, osservandone la natura di mero strumento nelle mani dell’uomo, non certo in grado di condizionarne il comportamento e la libertà. Nell’ambiente digitale, lo sviluppo del Digital Rights Management (DRM) dimostra – non solo nell’area del diritto d’autore - il ruolo centrale della tecnologia, votata a rafforzare e talvolta a sostituire la regolamentazione giuridica. Proprio come le barriere fisiche limitano il comportamento nello spazio “reale”, gli standard tecnici condizionano il comportamento nello spazio digitale . Un sistema informatico, ad esempio, può essere programmato per negare l’accesso senza una password, vietare il “login” simultaneamente da due terminali o proibire la modifica di un file per il quale è consentita la sola lettura. Nell’ambiente informazionale, in tal senso, ogni avanzamento della tecnologia può rendere possibile il massimo accesso ed espressione individuale, ma allo stesso tempo il massimo controllo sul comportamento del singolo. È evidente, dunque, come alcuni studiosi hanno osservato, che nello spazio digitale il prevalente strumento di regolamentazione non si identifica nella regola di diritto, ma in ciò che si definisce “architettura”: i comandi sono incorporati nei protocolli di comunicazione di Internet e nelle applicazioni software. Lo standard tecnico, sotto il controllo di chi lo predispone, conferisce di fatto a quest’ultimo il potere di “governare” il comportamento dei fruitori, divenendo dunque fonte di regola. La “rivoluzione” delle tecnologie digitali, in tal senso, non è paragonabile ai progressi tecnologici che l’hanno preceduta. Essa, infatti, investe il sistema delle fonti del diritto. Se, in generale, le implicazioni e mutue relazioni tra tecnica e diritto sono incontestabili, il legame è ancora più forte nell’era digitale: la regolamentazione del controllo delle informazioni digitali trova le sue fonti non solo nel diritto statale, ma anche nel contratto e nella tecnologia (oltre che nella consuetudine) . Il diritto statale vede parzialmente sgretolarsi la propria centralità, mentre cresce la rilevanza degli ordinamenti privati. In tale contesto, posto che tra regole informatiche e giuridiche sussiste una sostanziale differenza, sia in termini di legittimazione democratica che di struttura, il diritto è chiamato a rivendicare la propria supremazia, disciplinando la tecnologia e, al contempo, a servirsi di quest’ultima per perseguire i propri obiettivi, così giungendo alla creazione di nuove regole, che non si limitino a reagire alle trasformazioni indotte dalle tecnologie, ma contribuiscano a determinarne i modi di utilizzo . Al fine di comprendere e governare situazioni complesse, quali quelle conseguenti ai mutamenti tecnologici, il costante dialogo tra i saperi e l’analisi interdisciplinare, costituiscono un punto di partenza dal quale non si deve prescindere. Nella società dell’informazione gli eventi umani – per quanto tali nel loro essere fatti dell’uomo – hanno un’effettività sociale particolare in quanto rappresentati in forma di dati all’interno di sistemi informativi informatici. È proprio attraverso la rappresentazione informatica, infatti, che costituisce oramai la forma di espressione maggiormente diffusa, che si svolgono gran parte delle attività dotate di implicazioni giuridiche, economiche, amministrative e politiche. Con riguardo, in particolare, alla produzione e diffusione della conoscenza, l’ambiente digitale, muta profondamente gli scenari che caratterizzavano il diritto d’autore tradizionale, dischiudendo problematiche nuove. Le tecnologie informatiche e soprattutto l'impiego progressivo del World Wide Web hanno trasformato il meccanismo di trasmissione della conoscenza e di riproduzione della medesima: l’ironia sta nel fatto che nel momento storico in cui vi sono le tecnologie per rendere i dati scientifici disponibili a tutto il mondo ed elaborabili in maniera distribuita, le restrizioni tecnologiche sul trasferimento delle informazioni sono a tal punto forti da impedire la libera circolazione del sapere. Le misure tecnologiche, sono altresì rafforzate da un modello giuridico di circolazione della conoscenza basato sul self – enforcing dello strumento contrattuale . Questa tipologia di controllo si identifica nel DRM (Digital Rights Management), il cui obiettivo è rendere i termini della licenza per l’accesso e l’uso dell’informazione, riconoscibili dai software e dagli apparecchi costruiti per la fruizione dell’informazione. Il DRM, infatti, affida la sua forza all’autotutela tecnologica piuttosto che alla tutela statale . Per mezzo di sistemi DRM - composti sia di tecnologie di trasmissione e gestione delle informazioni sulle regole di utilizzo dei contenuti (metadati e Rights Expression Languages), sia di tecnologie in grado di dare esecuzione ai medesimi (misure tecnologiche di protezione MTP), impedendo, per esempio, la copia laddove non consentita - è possibile l’applicazione automatica (in personal computer, telefoni cellulari, televisioni, etc.) delle regole contenute nelle licenze impiegate per la distribuzione dei contenuti digitali . La tutela tecnologica, in realtà, prevale anche sul contratto, poiché i termini per l’accesso e l’uso dell’informazione sono tradotti in linguaggi informatici di espressione dei diritti, RELs (Rights Expression Languages) e per il loro tramite in codice binario, comprensibile solo dalle macchine. Diametralmente opposta è l’idea L’idea dell’accesso aperto alla ricerca scientifica, che ha dato vita al movimento rivoluzionario internazionale oggetto del presente convegno. Puntando ad allargare il ventaglio dei modelli di produzione e commercializzazione dell’informazione scientifica, essa, che si contrappone alla logica del DRM, muove dalla necessità di contrastare il rischio che il controllo rigido ed accentrato colonizzi la conoscenza scientifica, anche e soprattutto valorizzando l’uso delle tecnologie informatiche, della Rete, del Web e dei nuovi intermediari (archivi istituzionali, motori di ricerca Internet come Google Books Search e Google Scholar, etc.). Proprio tale ultimo profilo presenta aspetti di particolare interesse ed è oggetto di attenzione nel presente contributo; la circolazione dell’informazione in Rete diviene, infatti, un tema cruciale anche nell’ambito della distribuzione dell’informazione ad accesso aperto. Nel tentativo di ovviare alle barriere all’accesso e di favorire la massima visibilità dei risultati, attraverso la creazione di archivi aperti e di riviste di qualità liberamente accessibili, anche nell’ambito del movimento OA hanno preso vita numerose iniziative, non solo sul piano infrastrutturale, politico, istituzionale e culturale, ma anche tecnologico, per l’interoperabilità e il riuso dei contenuti digitali. Se, infatti, scopo principale del movimento è quello di garantire massima diffusione e riutilizzo dell’informazione e se lo spazio principale di circolazione dei contenuti è rappresentato dal Web, gli studi intorno alle tecniche di catalogazione e classificazione dell’informazione e dei relativi diritti nello spazio virtuale meritano particolare attenzione. L’interesse non solo scientifico ma anche a livello applicativo e di policy per quanto sopra è dimostrato pure dalle diverse iniziative volte alla creazione di standard per la rappresentazione delle informazioni digitali e dei diritti connessi alle risorse, ma anche dall’interessamento di organismi internazionali come la WIPO (World Intellectual Property Organisation) , e della stessa Commissione Europea . Tutti i progetti che fanno riferimento alla logica OA presentano forti analogie e, a ben vedere, si intersecano con la logica sottesa alle licenze Creative Commons (CC), ove lo sviluppo della conoscenza si basa sulla collaborazione di una comunità di persone, per far sì che altri ne controllino la qualità e venga, eventualmente, migliorato e modificato da una catena di persone. Le licenze CC sui contenuti digitali rappresentano nuovi modelli di distribuzione della conoscenza in cui gli autori, attraverso l’adozione di una licenza CC, manifestano il proprio consenso allo sfruttamento della propria opera da parte degli archivi OA. Le licenze CC rappresentano in questo senso uno strumento estremamente utile per il perseguimento degli obiettivi dell’OA. Il movimento CC – da cui prende vita poi il progetto Science Commons con riguardo più nello specifico alla conoscenza scientifica - merita approfondimento: le licenze CC, avvalendosi di alcune tecnologie di riferimento dei sistemi DRM, si manifestano all’utente oltre che in forma leggibile all’uomo anche secondo un modello comprensibile alla macchina (machine – readable). Ciò grazie alle stesse tecnologie che consentono ai sistemi DRM di esercitare un rigido controllo sull’informazione, le quali, sviluppate da CC per facilitare la diffusione e la fruizione dei contenuti, possono servire all’opposto obiettivo di diffusione della conoscenza. CC dal 2002 sta infatti lavorando ad un progetto di incorporazione delle regole in codice informatico, facendo leva, per prima in questo campo, sulle tecnologie di base del web semantico, allo scopo di rendere le opere distribuite sul web quanto più possibile rintracciabili e riutilizzabili, favorendo la produzione di conoscenza. La realizzabilità di tale progetto presuppone l’elaborazione di metadati a contenuto giuridico destinati a circolare a livello globale; un’impresa che richiede uno sforzo di concettualizzazione e rappresentazione delle categorie giuridiche, ponendo in evidenza le questioni connesse alla traduzione ed incorporazione di queste ultime nell’architettura informatica. L’analisi dei linguaggi di espressione dei diritti (Rights Expression Languages –RELs-), che rappresenta ancora un terreno da esplorare all’interno del panorama giuridico italiano, allo stato della tecnologia pone in luce i forti limiti di questa forma di “comunicazione” destinata alla macchina. Limiti consistenti essenzialmente nel fatto che i linguaggi informatici non sono in grado di supportare la complessità dei concetti giuridici, che sempre implicano interpretazione e specifica applicazione al caso concreto. Scienza giuridica ed informatica sono poste dunque oggi di fronte alla sfida di consentire la circolazione e fruizione dell’informazione nell’Web, integrando tra l’altro anche regole di diritto nell’architettura informatica. Nei successivi paragrafi si intende fornire una breve descrizione di quelle che sono le tecnologie informatiche sviluppate nell’ambito dei sistemi DRM, prima, e da Creative Commons, poi, per la traduzione delle regole in codice informatico, mettendo in luce le differenze e soprattutto i diversi obiettivi che attraverso le medesime sono perseguiti. Nell’affrontare tale tematica emerge l’importanza di seguire percorsi interdisciplinari, gli unici in grado di fornire al giurista gli strumenti per svolgere il proprio ruolo anche nell’ambito di quello che viene definito “spazio digitale” .I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione