Lo studio monografico si snoda fra due principali linee tematiche. Una rappresenta – per così dire – l’oggetto più immediato della ricerca: la figura di deroga al contraddittorio nella formazione della prova per «condotta illecita» (art. 111 co. 5 Cost.), alla quale si riferisce la suggestiva etichetta (“contraddittorio inquinato”) coniata da Giulio Ubertis ed impiegata nel titolo del volume. A ciò è dedicata la prima parte del lavoro (cap. I e II), che si inserisce, così, nel panorama degli studi dedicati al nevralgico tema della prova e del contraddittorio nel dibattimento penale, nelle sue dimensioni più strettamente normative. In quest’ambito, il profilo che attiene ai casi d’eccezione (c.d. letture e contestazioni “acquisitive”) assume oggi ulteriore e più marcata rilevanza, a fronte delle nuove, incisive discipline dettate con le riforme di fine millennio in tema di c.d. giusto processo. Tra le varie figure, quella relativa ai testimoni intimiditi (appunto, provata condotta illecita ex art. 111 co. 5 Cost. ed art. 500 co. 4 e 5 c.p.p.) attendeva ancora un mirato approfondimento, quale adesso si rinviene nella presente monografia. A dieci anni dalla modifica dell’art. 111 Cost., l’autore ripercorre (cap. I) i travagliati cammini dal 1988 ad oggi e le varie soluzioni via via avvicendatesi: il tema dell’inquinamento probatorio, e delle speciali regole dettate per esso, offre uno spaccato originale e istruttivo sulla storia degli ultimi vent’anni, dalla riforma del codice alle recenti tendenze verso l’armonizzazione europea. Segue (cap. II) una analitica messa a punto della particolare disciplina (art. 500 co. 4 e 5): a fronte di indirizzi assai poco “sorvegliati” della giurisprudenza e di obiettive lacune e stratificazioni dei testi normativi, ci si fa carico di individuare adeguate linee esegetiche, attente alle matrici costituzionali, e di indicare possibili prospettive di riforma. L’altro filo della ricerca viene più analiticamente sviluppato nella seconda parte della monografia (cap. III e IV). Esso attiene ai c.d. fatti processuali ed al regime da osservare per il loro accertamento, specie nella fase dibattimentale. L’art. 500 co. 4 e 5 c.p.p. (compreso in quella più generale categoria) rappresenta uno dei principali settori normativi nei quali si manifesta una tendenza interpretativa e ricostruttiva più vasta e diffusa: si assume che – quando l’oggetto della prova consista in fatti estranei al c.d. merito, all’imputazione, da accertare a fini meramente processuali, ex art. 187 co. 2 c.p.p. – non occorra rispettare le tecniche e le regole probatorie tipiche del dibattimento (oralità, contraddittorio “per la prova”, divieti di letture, regola di giudizio “oltre ogni ragionevole dubbio”). Proprio la presa d’atto di questo orientamento, suggerisce all’autore d’impegnarsi in una riflessione a largo raggio su di un tema (per l’appunto, quello della prova dei “fatti processuali”) di particolare rilievo e – nondimeno – piuttosto negletto, trascurato sia da parte della dottrina, sia del legislatore. Gli svolgimenti conducono ad un approccio critico, rispetto alle accennate diffuse impostazioni e – su queste basi – il regime probatorio dei c.d. fatti processuali (con specifico riferimento alla condotta illecita ex art. 500 co. 4 e 5) viene ricostruito, muovendo da robusti agganci con il dettato costituzionale e con i principi fondamentali del sistema.
Il contraddittorio inquinato
Busetto, Marcello Luigi
2009-01-01
Abstract
Lo studio monografico si snoda fra due principali linee tematiche. Una rappresenta – per così dire – l’oggetto più immediato della ricerca: la figura di deroga al contraddittorio nella formazione della prova per «condotta illecita» (art. 111 co. 5 Cost.), alla quale si riferisce la suggestiva etichetta (“contraddittorio inquinato”) coniata da Giulio Ubertis ed impiegata nel titolo del volume. A ciò è dedicata la prima parte del lavoro (cap. I e II), che si inserisce, così, nel panorama degli studi dedicati al nevralgico tema della prova e del contraddittorio nel dibattimento penale, nelle sue dimensioni più strettamente normative. In quest’ambito, il profilo che attiene ai casi d’eccezione (c.d. letture e contestazioni “acquisitive”) assume oggi ulteriore e più marcata rilevanza, a fronte delle nuove, incisive discipline dettate con le riforme di fine millennio in tema di c.d. giusto processo. Tra le varie figure, quella relativa ai testimoni intimiditi (appunto, provata condotta illecita ex art. 111 co. 5 Cost. ed art. 500 co. 4 e 5 c.p.p.) attendeva ancora un mirato approfondimento, quale adesso si rinviene nella presente monografia. A dieci anni dalla modifica dell’art. 111 Cost., l’autore ripercorre (cap. I) i travagliati cammini dal 1988 ad oggi e le varie soluzioni via via avvicendatesi: il tema dell’inquinamento probatorio, e delle speciali regole dettate per esso, offre uno spaccato originale e istruttivo sulla storia degli ultimi vent’anni, dalla riforma del codice alle recenti tendenze verso l’armonizzazione europea. Segue (cap. II) una analitica messa a punto della particolare disciplina (art. 500 co. 4 e 5): a fronte di indirizzi assai poco “sorvegliati” della giurisprudenza e di obiettive lacune e stratificazioni dei testi normativi, ci si fa carico di individuare adeguate linee esegetiche, attente alle matrici costituzionali, e di indicare possibili prospettive di riforma. L’altro filo della ricerca viene più analiticamente sviluppato nella seconda parte della monografia (cap. III e IV). Esso attiene ai c.d. fatti processuali ed al regime da osservare per il loro accertamento, specie nella fase dibattimentale. L’art. 500 co. 4 e 5 c.p.p. (compreso in quella più generale categoria) rappresenta uno dei principali settori normativi nei quali si manifesta una tendenza interpretativa e ricostruttiva più vasta e diffusa: si assume che – quando l’oggetto della prova consista in fatti estranei al c.d. merito, all’imputazione, da accertare a fini meramente processuali, ex art. 187 co. 2 c.p.p. – non occorra rispettare le tecniche e le regole probatorie tipiche del dibattimento (oralità, contraddittorio “per la prova”, divieti di letture, regola di giudizio “oltre ogni ragionevole dubbio”). Proprio la presa d’atto di questo orientamento, suggerisce all’autore d’impegnarsi in una riflessione a largo raggio su di un tema (per l’appunto, quello della prova dei “fatti processuali”) di particolare rilievo e – nondimeno – piuttosto negletto, trascurato sia da parte della dottrina, sia del legislatore. Gli svolgimenti conducono ad un approccio critico, rispetto alle accennate diffuse impostazioni e – su queste basi – il regime probatorio dei c.d. fatti processuali (con specifico riferimento alla condotta illecita ex art. 500 co. 4 e 5) viene ricostruito, muovendo da robusti agganci con il dettato costituzionale e con i principi fondamentali del sistema.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione