Seconda parte di uno studio complessivo (iniziato con G. Moretti, "Mezzi visuali per le passioni retoriche: le scenografie dell'oratoria" in Le passioni della retorica, a cura di G. Petrone, Palermo: Flaccovio, 2004, p. 63-96), l’articolo affronta il tema più generale dei mezzi visuali impiegati come supporto dell’oratoria latina (visual tools, come oggetti ed immagini, spesso preeesistenti alla performance oratoria) dal punto di vista invece delle iconografie appositamente prodotte per fini oratori e processuali. In questo senso il nucleo germinale e fondativo della tradizione romana di iconografie a supporto della performance oratoria è costituito dalla laudatio funebris, che aveva come peculiarissimo referente visuale sia il cadavere stesso del defunto, ritto accanto ai rostra, sia le imagines degli antenati, indossate da individui a loro somiglianti che, dopo aver spettacolarmente sfilato nella pompa funebris, siedono in fila accanto ai rostra su seggi d’avorio. Da questo nucleo fondativo e legittimante nascerà tutta una tradizione romana di ostensione di cadaveri e di reimpiego di imagines funebres in contesti oratori. Un altro tipo di immagini utilizzate durante un atto oratorio è costituito da immagini geografiche di vario tipo: un impiego molto antico di supporti visuali a scopo persuasivo, se già Erodoto ci informa dell’impiego di uno strumento del genere (una delle prime mappe del mondo greco) usato da Aristagora di Mileto per convincere gli Spartani a intervenire militarmente in aiuto della sua città. A Roma L. Ostilio Mancino, il primo Romano ad entrare a Cartagine dopo la sua resa, fece fare dei quadri che rappresentavano la città e gli attacchi successivi che vi vennero portati, e dopo averli esposti al pubblico li utilizzò come supporto oratorio durante la sua campagna elettorale per il consolato. Immagini ancora più esclusivamente connesse con la performance oratoria in un processo sono quelle tabulae o quei siparia, di cui ci parla Quintiliano, rappresentanti la scena di un delitto e fatti confezionare per lo più dall’avvocato dell’accusa per suscitare la commozione del giudice e dell’uditorio; talora invece, come nel caso del processo a Manio Curio, di cui ci parla ancora Quintiliano, il quadro mostrato ai giudici raffigurava in una serie di vignette o di scene, secondo una tecnica ben nota alla pittura narrativa romana, la vicenda biografica di un imputato. L’impiego oratorio di strumenti visuali appositamente confezionati per quell’occasione e quello scopo non esaurisce in realtà tutta la gamma di possibilità mostrate dalle fonti antiche in relazione al rapporto fra oralità ed immagine. Vi sono casi interessanti infatti che – sebbene non riguardino l’oratoria propriamente detta – ci mostrano la parola e l’immagine che si accompagnano reciprocamente nel loro farsi: in cui cioè chi parla è anche colui che traccia per il suo pubblico, con i mezzi che ha a disposizione, immagini efficacemente esplicative. È soprattutto il genere elegiaco ad offrirci ricorrenti esempi di tal genere: disegnare parlando è qualcosa che fanno i soldati, schizzando con mezzi rudimentali un supporto grafico alla narrazione delle loro imprese di guerra; così farà anche Ulisse nel secondo libro dell’Ars ovidiana, disegnando per Calipso con un bastoncino sulla sabbia del litorale una mappa dell’assedio di Troia presto cancellata dalle onde. I mezzi visuali per la performance oratoria saranno destinati a trovare poi nuove e straordinarie occasioni di impiego nella cultura cristiana, dove la loro evidentia spettacolare si metterà al servizio della liturgia e della predicazione: come accade nel caso straordinario quanto singolare (ben studiato da Guglielmo Cavallo) dei rotoli liturgici dell’Exultet di area longobardo-cassinese, che consentivano al popolo che assisteva alla liturgia una visione di immagini contemporanea al procedere della corrispondente parola liturgica.
Quintiliano e il «visibile parlare»: strumenti visuali per l’oratoria latina
Moretti, Gabriella
2010-01-01
Abstract
Seconda parte di uno studio complessivo (iniziato con G. Moretti, "Mezzi visuali per le passioni retoriche: le scenografie dell'oratoria" in Le passioni della retorica, a cura di G. Petrone, Palermo: Flaccovio, 2004, p. 63-96), l’articolo affronta il tema più generale dei mezzi visuali impiegati come supporto dell’oratoria latina (visual tools, come oggetti ed immagini, spesso preeesistenti alla performance oratoria) dal punto di vista invece delle iconografie appositamente prodotte per fini oratori e processuali. In questo senso il nucleo germinale e fondativo della tradizione romana di iconografie a supporto della performance oratoria è costituito dalla laudatio funebris, che aveva come peculiarissimo referente visuale sia il cadavere stesso del defunto, ritto accanto ai rostra, sia le imagines degli antenati, indossate da individui a loro somiglianti che, dopo aver spettacolarmente sfilato nella pompa funebris, siedono in fila accanto ai rostra su seggi d’avorio. Da questo nucleo fondativo e legittimante nascerà tutta una tradizione romana di ostensione di cadaveri e di reimpiego di imagines funebres in contesti oratori. Un altro tipo di immagini utilizzate durante un atto oratorio è costituito da immagini geografiche di vario tipo: un impiego molto antico di supporti visuali a scopo persuasivo, se già Erodoto ci informa dell’impiego di uno strumento del genere (una delle prime mappe del mondo greco) usato da Aristagora di Mileto per convincere gli Spartani a intervenire militarmente in aiuto della sua città. A Roma L. Ostilio Mancino, il primo Romano ad entrare a Cartagine dopo la sua resa, fece fare dei quadri che rappresentavano la città e gli attacchi successivi che vi vennero portati, e dopo averli esposti al pubblico li utilizzò come supporto oratorio durante la sua campagna elettorale per il consolato. Immagini ancora più esclusivamente connesse con la performance oratoria in un processo sono quelle tabulae o quei siparia, di cui ci parla Quintiliano, rappresentanti la scena di un delitto e fatti confezionare per lo più dall’avvocato dell’accusa per suscitare la commozione del giudice e dell’uditorio; talora invece, come nel caso del processo a Manio Curio, di cui ci parla ancora Quintiliano, il quadro mostrato ai giudici raffigurava in una serie di vignette o di scene, secondo una tecnica ben nota alla pittura narrativa romana, la vicenda biografica di un imputato. L’impiego oratorio di strumenti visuali appositamente confezionati per quell’occasione e quello scopo non esaurisce in realtà tutta la gamma di possibilità mostrate dalle fonti antiche in relazione al rapporto fra oralità ed immagine. Vi sono casi interessanti infatti che – sebbene non riguardino l’oratoria propriamente detta – ci mostrano la parola e l’immagine che si accompagnano reciprocamente nel loro farsi: in cui cioè chi parla è anche colui che traccia per il suo pubblico, con i mezzi che ha a disposizione, immagini efficacemente esplicative. È soprattutto il genere elegiaco ad offrirci ricorrenti esempi di tal genere: disegnare parlando è qualcosa che fanno i soldati, schizzando con mezzi rudimentali un supporto grafico alla narrazione delle loro imprese di guerra; così farà anche Ulisse nel secondo libro dell’Ars ovidiana, disegnando per Calipso con un bastoncino sulla sabbia del litorale una mappa dell’assedio di Troia presto cancellata dalle onde. I mezzi visuali per la performance oratoria saranno destinati a trovare poi nuove e straordinarie occasioni di impiego nella cultura cristiana, dove la loro evidentia spettacolare si metterà al servizio della liturgia e della predicazione: come accade nel caso straordinario quanto singolare (ben studiato da Guglielmo Cavallo) dei rotoli liturgici dell’Exultet di area longobardo-cassinese, che consentivano al popolo che assisteva alla liturgia una visione di immagini contemporanea al procedere della corrispondente parola liturgica.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione