Pur non mettendo in discussione alcune intuizioni del Gramsci dei Quaderni intorno a Guicciardini, il saggio, pubblicato a Mosca, mette in discussione su basi documentali, il fin troppo fortunato giudizio gramsciano sul rapporto Machiavelli-Guicciardini, che tanto doveva ancora alle pagine di De Sanctis, dedicate all'autore della Storia d'Italia. Secondo Gramsci, Guicciardini, pessimista, scettico e gretto, segnava un passo indietro nella scienza politica di fronte a un Machiavelli già tutto europeo e realista. Lo scetticismo del Guicciardini, «non pessimismo dell’intelligenza», che invece poteva essere «unito a un ottimismo della volontà nei politici realistici attivi», e tale era, a suo giudizio, Machiavelli, aveva diverse origini. Innanzitutto l’abito del diplomatico, cioè di «una professione subalterna», subordinata, esecutivo-burocratica, costretta ad accettare una volontà estranea (quella politica del proprio governo o principe) e a interiorizzarla. Il diplomatico secondo Gramsci può sentire quella volontà come propria, in quanto corrisponde alle proprie convinzioni, ma può anche non sentirla tale: «l’essere la diplomazia divenuta necessariamente una professione specializzata ha portato a questa conseguenza, di poter staccare il diplomatico dalla politica dei governi mutevoli ecc. quindi scetticismo e, nell’elaborazione scientifica, pregiudizi extrascientifici». Gli scritti di Guicciardini gli apparivano pertanto più un segno dei tempi, che non vere opere di scienza politica, e tale era stato appunto «il giudizio del De Sanctis». Si tratta di una pagina essenziale per comprendere in che modo la lettura dell’opera machiavelliana alimentò il pensiero di Gramsci e nessuno intende negare l’impatto che questa interpretazione ebbe negli studi e nella storia del pensiero del '900. È tuttavia difficile non riconoscere che la sua riflessione fosse, per certi versi, anacronistica e comunque viziata da un pregiudizio intorno al nesso politica-diplomazia. Nella politica, secondo Gramsci, «l’elemento volitivo ha un’importanza molto più grande che nella diplomazia», la quale, invece, «sanziona e tende a conservare le situazioni create dall’urto delle politiche statali». Quest’ultima è dunque creativa «solo per metafora» e il diplomatico, «per lo stesso abito professionale, è portato allo scetticismo e alla grettezza conservatrice». È insomma un «subalterno», con tutto ciò che questo termine significa nell’universo concettuale gramsciano. Il suo giudizio si risolve dunque nella capacità del singolo di agire autenticamente, mosso dai propri fini, non subordinando la propria azione ad alcuna volontà esterna, se non a quella che meglio si adatta alla riuscita di una impresa. Questo quadro presenta però una critica dell’abito diplomatico, che difficilmente può essere adattato all’universo politico nel quale agirono Machiavelli e Guicciardini. All’epoca la diplomazia non possedeva ancora le caratteristiche di una «professione specializzata». Personalità con svariate competenze ed esperienze potevano essere di volta in volta impiegate in qualità di diplomatici. Che Gramsci pensasse già a un orizzonte più tardo lo si comprende del resto proprio con la frequente sovrapposizione del suo giudizio su Guicciardini alle riflessioni dedicate a Cavour o a Clemenceau. Sia Machiavelli sia Guicciardini, come si sa, ricoprirono importanti incarichi diplomatici, ma probabilmente queste esperienze incisero in modo decisivo più sul realismo politico del primo, che non sul pensiero e l’opera del secondo, come si tenta di illustrare nel saggio. Fu infatti proprio Machiavelli che riuscì, grazie agli incarichi diplomatici, ad affinare quel talento per il giudizio politico (tradotto 'post res perditas' in un sapere politico) e quel realismo, per dirla con Gramsci, il cui fondamento principale consisteva nell’osservazione e nell’acquisizione di sempre maggiore esperienza delle cose umane, essenziale per prevedere l’esito di un’impresa o delineare scenari possibili, sempre finalizzati a evitare l'irresolutezza in ambito politico. Va comunque aggiunto, che i due amici, Machiavelli e Guicciardini, si trovarono, infine, perfettamente d’accordo sul metro con cui l’uomo politico è chiamato a giudicare.
Politica e diplomazia. Machiavelli e Guicciardini in Gramsci
Carta, Paolo
2013-01-01
Abstract
Pur non mettendo in discussione alcune intuizioni del Gramsci dei Quaderni intorno a Guicciardini, il saggio, pubblicato a Mosca, mette in discussione su basi documentali, il fin troppo fortunato giudizio gramsciano sul rapporto Machiavelli-Guicciardini, che tanto doveva ancora alle pagine di De Sanctis, dedicate all'autore della Storia d'Italia. Secondo Gramsci, Guicciardini, pessimista, scettico e gretto, segnava un passo indietro nella scienza politica di fronte a un Machiavelli già tutto europeo e realista. Lo scetticismo del Guicciardini, «non pessimismo dell’intelligenza», che invece poteva essere «unito a un ottimismo della volontà nei politici realistici attivi», e tale era, a suo giudizio, Machiavelli, aveva diverse origini. Innanzitutto l’abito del diplomatico, cioè di «una professione subalterna», subordinata, esecutivo-burocratica, costretta ad accettare una volontà estranea (quella politica del proprio governo o principe) e a interiorizzarla. Il diplomatico secondo Gramsci può sentire quella volontà come propria, in quanto corrisponde alle proprie convinzioni, ma può anche non sentirla tale: «l’essere la diplomazia divenuta necessariamente una professione specializzata ha portato a questa conseguenza, di poter staccare il diplomatico dalla politica dei governi mutevoli ecc. quindi scetticismo e, nell’elaborazione scientifica, pregiudizi extrascientifici». Gli scritti di Guicciardini gli apparivano pertanto più un segno dei tempi, che non vere opere di scienza politica, e tale era stato appunto «il giudizio del De Sanctis». Si tratta di una pagina essenziale per comprendere in che modo la lettura dell’opera machiavelliana alimentò il pensiero di Gramsci e nessuno intende negare l’impatto che questa interpretazione ebbe negli studi e nella storia del pensiero del '900. È tuttavia difficile non riconoscere che la sua riflessione fosse, per certi versi, anacronistica e comunque viziata da un pregiudizio intorno al nesso politica-diplomazia. Nella politica, secondo Gramsci, «l’elemento volitivo ha un’importanza molto più grande che nella diplomazia», la quale, invece, «sanziona e tende a conservare le situazioni create dall’urto delle politiche statali». Quest’ultima è dunque creativa «solo per metafora» e il diplomatico, «per lo stesso abito professionale, è portato allo scetticismo e alla grettezza conservatrice». È insomma un «subalterno», con tutto ciò che questo termine significa nell’universo concettuale gramsciano. Il suo giudizio si risolve dunque nella capacità del singolo di agire autenticamente, mosso dai propri fini, non subordinando la propria azione ad alcuna volontà esterna, se non a quella che meglio si adatta alla riuscita di una impresa. Questo quadro presenta però una critica dell’abito diplomatico, che difficilmente può essere adattato all’universo politico nel quale agirono Machiavelli e Guicciardini. All’epoca la diplomazia non possedeva ancora le caratteristiche di una «professione specializzata». Personalità con svariate competenze ed esperienze potevano essere di volta in volta impiegate in qualità di diplomatici. Che Gramsci pensasse già a un orizzonte più tardo lo si comprende del resto proprio con la frequente sovrapposizione del suo giudizio su Guicciardini alle riflessioni dedicate a Cavour o a Clemenceau. Sia Machiavelli sia Guicciardini, come si sa, ricoprirono importanti incarichi diplomatici, ma probabilmente queste esperienze incisero in modo decisivo più sul realismo politico del primo, che non sul pensiero e l’opera del secondo, come si tenta di illustrare nel saggio. Fu infatti proprio Machiavelli che riuscì, grazie agli incarichi diplomatici, ad affinare quel talento per il giudizio politico (tradotto 'post res perditas' in un sapere politico) e quel realismo, per dirla con Gramsci, il cui fondamento principale consisteva nell’osservazione e nell’acquisizione di sempre maggiore esperienza delle cose umane, essenziale per prevedere l’esito di un’impresa o delineare scenari possibili, sempre finalizzati a evitare l'irresolutezza in ambito politico. Va comunque aggiunto, che i due amici, Machiavelli e Guicciardini, si trovarono, infine, perfettamente d’accordo sul metro con cui l’uomo politico è chiamato a giudicare.File | Dimensione | Formato | |
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