La scultura gotica lombarda è stata a lungo trascurata dagli studi, come risulta particolarmente evidente se si confronta la bibliografia sul tema con quella disponibile per la coeva pittura, almeno a partire dal volume di Pietro Toesca su La pittura e la miniatura in Lombardia del 1912. Viceversa, per la scultura si disponeva fin qui solo del saggio assai invecchiato, tanto nei contenuti che nel metodo, di Costantino Baroni Scultura gotica lombarda (1944). Il libro di Laura Cavazzini si propone di colmare tale lacuna, almeno relativamente all’ultima fase di quella stagione, che è anche quella rimasta più a lungo in ombra. L’arco cronologico preso in considerazione va dal 1386, anno della fondazione del nuovo Duomo di Milano, immediatamente successiva alla presa di potere di Gian Galeazzo Visconti ai danni dello zio Bernabò, e si protrae fin oltre la metà del secolo successivo, quando alla corte di Francesco Sforza si vagheggiavano con nostalgia i fasti del recente passato visconteo. Il ritmo non costante del lavoro attorno ai grandi cantieri tardogotici, condizionato dalle turbolente vicende politiche degli anni a cavallo fra Tre e Quattrocento, spingeva gli scultori, assai più che non i loro colleghi pittori o orafi, a muoversi senza sosta in cerca di occupazione. La fama della grandiosa fabbrica milanese, delle ottime opportunità di lavoro che offriva, corse rapidamente per tutta l’Europa, attirando maestri dalla Pannonia come dal regno di Sicilia, dalla valle del Reno come dai laghi ticinesi, dalla Repubblica veneta come dai territori della corona di Francia, in un intreccio davvero babelico che non ha confronti nel resto d'Italia, dando vita ad una stagione culturale che non può definirsi meglio che ‘Gotico Internazionale’. Seguendo il dipanarsi dei lavori al cantiere del Duomo milanese nell’arco di circa ottant’anni, il volume - articolato in sei capitoli, dotato di un ricco apparato di illustrazioni e di un dettagliato indice dei nomi e delle opere - mette a fuoco le maggiori personalità di scultori attivi a Milano, intrecciando l’esame delle opere con un rinnovato controllo sulla documentazione del ricco archivio della Fabbrica del Duomo. Prendono così nuova consistenza figure di artisti che svolsero un ruolo cruciale nella storia della scultura tardogotica in Italia, ma sino ad ora poco noti o sconosciuti affatto: da Hans von Fernach a Giacomo da Campione, da Roland de Banille ad Alberto da Campione, da Walter Monich a Jacopino da Tradate a Martino Benzoni. Le vicende biografiche di ciascuno di costoro introducono spunti critici che chiamano in causa altri cantieri aperti in quegli anni, dalla cattedrale di Como, a San Petronio a Bologna, a San Marco a Venezia, alla Badia Morronese di Sulmona. Oltre a restituire il profilo dei maggiori protagonisti della campagna decorativa del Duomo di Milano, il libro si preoccupa di chiarire le modalità organizzative del lavoro dei maestri di pietra attivi in quel cantiere, dall’approvvigionamento dei marmi presso le cave del monte Candoglia al sistema della retribuzione e dei salari, dalle forme di collaborazione con orafi, pittori e architetti al significato intellettuale e normativo dei disegni di progetto. Il volume considera infine il ruolo giocato nelle dinamiche del cantiere dalla famiglia dei Signori di Milano, e in particolare da Gian Galeazzo e Filippo Maria Visconti, in un rapporto di ingerenza discreta e di patronato dissimulato, ma comunque effettivo e riconoscibile.
Il crepuscolo della scultura medievale in Lombardia
Cavazzini, Laura
2004-01-01
Abstract
La scultura gotica lombarda è stata a lungo trascurata dagli studi, come risulta particolarmente evidente se si confronta la bibliografia sul tema con quella disponibile per la coeva pittura, almeno a partire dal volume di Pietro Toesca su La pittura e la miniatura in Lombardia del 1912. Viceversa, per la scultura si disponeva fin qui solo del saggio assai invecchiato, tanto nei contenuti che nel metodo, di Costantino Baroni Scultura gotica lombarda (1944). Il libro di Laura Cavazzini si propone di colmare tale lacuna, almeno relativamente all’ultima fase di quella stagione, che è anche quella rimasta più a lungo in ombra. L’arco cronologico preso in considerazione va dal 1386, anno della fondazione del nuovo Duomo di Milano, immediatamente successiva alla presa di potere di Gian Galeazzo Visconti ai danni dello zio Bernabò, e si protrae fin oltre la metà del secolo successivo, quando alla corte di Francesco Sforza si vagheggiavano con nostalgia i fasti del recente passato visconteo. Il ritmo non costante del lavoro attorno ai grandi cantieri tardogotici, condizionato dalle turbolente vicende politiche degli anni a cavallo fra Tre e Quattrocento, spingeva gli scultori, assai più che non i loro colleghi pittori o orafi, a muoversi senza sosta in cerca di occupazione. La fama della grandiosa fabbrica milanese, delle ottime opportunità di lavoro che offriva, corse rapidamente per tutta l’Europa, attirando maestri dalla Pannonia come dal regno di Sicilia, dalla valle del Reno come dai laghi ticinesi, dalla Repubblica veneta come dai territori della corona di Francia, in un intreccio davvero babelico che non ha confronti nel resto d'Italia, dando vita ad una stagione culturale che non può definirsi meglio che ‘Gotico Internazionale’. Seguendo il dipanarsi dei lavori al cantiere del Duomo milanese nell’arco di circa ottant’anni, il volume - articolato in sei capitoli, dotato di un ricco apparato di illustrazioni e di un dettagliato indice dei nomi e delle opere - mette a fuoco le maggiori personalità di scultori attivi a Milano, intrecciando l’esame delle opere con un rinnovato controllo sulla documentazione del ricco archivio della Fabbrica del Duomo. Prendono così nuova consistenza figure di artisti che svolsero un ruolo cruciale nella storia della scultura tardogotica in Italia, ma sino ad ora poco noti o sconosciuti affatto: da Hans von Fernach a Giacomo da Campione, da Roland de Banille ad Alberto da Campione, da Walter Monich a Jacopino da Tradate a Martino Benzoni. Le vicende biografiche di ciascuno di costoro introducono spunti critici che chiamano in causa altri cantieri aperti in quegli anni, dalla cattedrale di Como, a San Petronio a Bologna, a San Marco a Venezia, alla Badia Morronese di Sulmona. Oltre a restituire il profilo dei maggiori protagonisti della campagna decorativa del Duomo di Milano, il libro si preoccupa di chiarire le modalità organizzative del lavoro dei maestri di pietra attivi in quel cantiere, dall’approvvigionamento dei marmi presso le cave del monte Candoglia al sistema della retribuzione e dei salari, dalle forme di collaborazione con orafi, pittori e architetti al significato intellettuale e normativo dei disegni di progetto. Il volume considera infine il ruolo giocato nelle dinamiche del cantiere dalla famiglia dei Signori di Milano, e in particolare da Gian Galeazzo e Filippo Maria Visconti, in un rapporto di ingerenza discreta e di patronato dissimulato, ma comunque effettivo e riconoscibile.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione