Questo saggio affronta una serie di problemi teorici collegati alla posta in gioco etica ed epistemologica del tradurre. “Moralità” sta ad indicare un campo determinativo orientato da imperativi singoli, mente “etica” (come espresso nel plurale dell’inglese “ethics”), indica un campo cognitivo determinato da imperativi plurimi. Lo spostamento dall’uno all’altro si realizza nel passaggio da una tradizione eurocentrica universalistica ad una realtà inclusiva di punti di vista diversi, chiamati a dialogare tra loro, e non solo nella traduzione. Tutte le definizioni tradizionali di “testo”, “discorso”, “parola”, “comunicazione”, etc. costituiscono l’oggetto di operazioni decostruttive che sfidano il loro tradizionale monolitismo semantico-descrittivo. Inoltre, il lavoro ri-definitorio di questi concetti (livello epistemologico), si ripercuote su nozioni di gerarchia, priorità, responsabilità, violenza, con ovvie implicazioni sul piano etico implicito nel tradurre. L’ideale dell’equivalenza traduttiva viene oggi considerato come una fallacia referenziale, sulla scia degli insegnamenti di molti teorici: da Walter Benjamin (1923), a Roman Jakobson (negli anni Cinquanta), da Jaques Derrida (1985), a J. Hillis Miller (1996), a Umberto Eco (2003). Anche l’opportunità della visibilità del traduttore viene discussa in chiave etica, in rapporto alla responsabilità verso il testo e verso i lettori (Lawrence Venuti, Susan Bassnett, ma anche S. Gerolamo traduttore della Bibbia). In sostanza si tratta (come per tutti gli aspetti della traduzione) di un binomio etico-epistemologico (visibilità-responsabilità), che stabilisce delle “pertinenze” tali per cui diversi “stili di pensiero” possono trovare espressione.
From a Morality of Translation to an Ethics of Tranlsation: In Step with the Play of Language / Locatelli, Carla. - STAMPA. - (2008), pp. 165-176.
From a Morality of Translation to an Ethics of Tranlsation: In Step with the Play of Language
Locatelli, Carla
2008-01-01
Abstract
Questo saggio affronta una serie di problemi teorici collegati alla posta in gioco etica ed epistemologica del tradurre. “Moralità” sta ad indicare un campo determinativo orientato da imperativi singoli, mente “etica” (come espresso nel plurale dell’inglese “ethics”), indica un campo cognitivo determinato da imperativi plurimi. Lo spostamento dall’uno all’altro si realizza nel passaggio da una tradizione eurocentrica universalistica ad una realtà inclusiva di punti di vista diversi, chiamati a dialogare tra loro, e non solo nella traduzione. Tutte le definizioni tradizionali di “testo”, “discorso”, “parola”, “comunicazione”, etc. costituiscono l’oggetto di operazioni decostruttive che sfidano il loro tradizionale monolitismo semantico-descrittivo. Inoltre, il lavoro ri-definitorio di questi concetti (livello epistemologico), si ripercuote su nozioni di gerarchia, priorità, responsabilità, violenza, con ovvie implicazioni sul piano etico implicito nel tradurre. L’ideale dell’equivalenza traduttiva viene oggi considerato come una fallacia referenziale, sulla scia degli insegnamenti di molti teorici: da Walter Benjamin (1923), a Roman Jakobson (negli anni Cinquanta), da Jaques Derrida (1985), a J. Hillis Miller (1996), a Umberto Eco (2003). Anche l’opportunità della visibilità del traduttore viene discussa in chiave etica, in rapporto alla responsabilità verso il testo e verso i lettori (Lawrence Venuti, Susan Bassnett, ma anche S. Gerolamo traduttore della Bibbia). In sostanza si tratta (come per tutti gli aspetti della traduzione) di un binomio etico-epistemologico (visibilità-responsabilità), che stabilisce delle “pertinenze” tali per cui diversi “stili di pensiero” possono trovare espressione.File | Dimensione | Formato | |
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