Negli ultimi anni si è assistito ad un crescente riconoscimento del ruolo della geografia fisica nel contribuire a definire un panorama descrittivo efficiente e una prospettiva applicativa efficace nell’ambito degli studi sulla conservazione ambientale. Gli studiosi hanno potuto riconoscere quanto la componente abiotica sia imprescindibile, e pari ordinata, rispetto alla componente biotica nell’architettura degli ecosistemi locali e globali. Le specie animali e vegetali non possono essere adeguatamente tutelate se non si passa attraverso la visione integrata dei loro cicli rispetto al substrato geologico e geomorfologico che esse abitano e da cui traggono sostegno e nutrimento. Di fronte alla pressione grave e urgente posta dai cambiamenti climatici antropogenici, da più parti si è auspicato lo sviluppo di un approccio olistico che permetta di mitigare il crescente stress ambientale a cui sono e saranno sempre più sottoposti tutti i bioti, consentendone per quanto possibile un maggior margine di risposta e adattamento. Uno dei modi specifici di adattamento rapido e contingente delle comunità biologiche è la mobilità. Nel momento in cui si parla di mobilità di specie in senso climatico, si fa riferimento principalmente alla mobilità altitudinale e latitudinale. La mobilità biotica è sempre stata nella storia della Terra lo strumento di reazione più immediato alle modificazioni climatiche sia di breve che di lungo periodo. La mobilità è in effetti un espediente strategico essenziale nell’aumentare le possibilità di sopravvivenza delle specie, perché, oltre ad aumentare il perimetro effettivo degli areali di diffusione e a consentire l’accesso a condizioni ambientali differenti, permette anche l’aumento del patrimonio genetico di una specie, perché consente episodicamente il contatto fra comunità insediate in territori differenti. Oggi la mobilità biotica di terraferma è quasi ubiquitariamente ostruita dall’antropizzazione massiccia del territorio. Le comunità umane hanno occupato aree particolarmente vaste non solo con gli insediamenti, ma anche con le infrastrutture di connessione, che si sovrappongono massicciamente all’invisibile reticolo preesistente di corridoi ecologici sfruttati dalle specie per l’adattamento immediato alle modificazioni ambientali. L’occupazione umana segue pattern molto specifici, pesantemente influenzati dalla morfologia del territorio, e produce di volta in volta criticità differenti, come l’isolamento di sub-unità morfologiche geologicamente affini (per esempio massicci montuosi con stessa orogenesi e stesso litotipo) che potrebbero ospitare comunità biotiche interscambiabili, o l’ostruzione di corridoi ecologici altitudinali o latitudinali che potrebbero fornire una via di adattamento rapido ai cambiamenti microclimatici alle specie altamente mobili (insediamenti a mezza costa, fasce ad alta urbanizzazione con notevole estensione in senso latitudinale). Lo scopo del presente contribuito è quello di proporre una prima riflessione, concettuale e metodologica, sui fenomeni e i processi di evoluzione ecosistemica delle aree alpine deglacializzate a causa dei cambiamenti climatici antropogenici, quali particolari e significative espressioni del rapporto fra geodiversità, mobilità e biodiversità.

Una dinamicità nascosta: il ruolo del fattore abiotico nella mobilità degli ecosistemi delle aree deglacializzate / Giardino, Marco; Pranzo, Andrea Marco Raffaele; Besana, Angelo. - ELETTRONICO. - (2023), pp. 171-178. (Intervento presentato al convegno XXXIII Congresso Geografico Italiano "GEOGRAFIE IN MOVIMENTO" tenutosi a Padova nel 8-13 settembre 2021).

Una dinamicità nascosta: il ruolo del fattore abiotico nella mobilità degli ecosistemi delle aree deglacializzate

Pranzo Andrea Marco Raffaele;Besana Angelo
2023-01-01

Abstract

Negli ultimi anni si è assistito ad un crescente riconoscimento del ruolo della geografia fisica nel contribuire a definire un panorama descrittivo efficiente e una prospettiva applicativa efficace nell’ambito degli studi sulla conservazione ambientale. Gli studiosi hanno potuto riconoscere quanto la componente abiotica sia imprescindibile, e pari ordinata, rispetto alla componente biotica nell’architettura degli ecosistemi locali e globali. Le specie animali e vegetali non possono essere adeguatamente tutelate se non si passa attraverso la visione integrata dei loro cicli rispetto al substrato geologico e geomorfologico che esse abitano e da cui traggono sostegno e nutrimento. Di fronte alla pressione grave e urgente posta dai cambiamenti climatici antropogenici, da più parti si è auspicato lo sviluppo di un approccio olistico che permetta di mitigare il crescente stress ambientale a cui sono e saranno sempre più sottoposti tutti i bioti, consentendone per quanto possibile un maggior margine di risposta e adattamento. Uno dei modi specifici di adattamento rapido e contingente delle comunità biologiche è la mobilità. Nel momento in cui si parla di mobilità di specie in senso climatico, si fa riferimento principalmente alla mobilità altitudinale e latitudinale. La mobilità biotica è sempre stata nella storia della Terra lo strumento di reazione più immediato alle modificazioni climatiche sia di breve che di lungo periodo. La mobilità è in effetti un espediente strategico essenziale nell’aumentare le possibilità di sopravvivenza delle specie, perché, oltre ad aumentare il perimetro effettivo degli areali di diffusione e a consentire l’accesso a condizioni ambientali differenti, permette anche l’aumento del patrimonio genetico di una specie, perché consente episodicamente il contatto fra comunità insediate in territori differenti. Oggi la mobilità biotica di terraferma è quasi ubiquitariamente ostruita dall’antropizzazione massiccia del territorio. Le comunità umane hanno occupato aree particolarmente vaste non solo con gli insediamenti, ma anche con le infrastrutture di connessione, che si sovrappongono massicciamente all’invisibile reticolo preesistente di corridoi ecologici sfruttati dalle specie per l’adattamento immediato alle modificazioni ambientali. L’occupazione umana segue pattern molto specifici, pesantemente influenzati dalla morfologia del territorio, e produce di volta in volta criticità differenti, come l’isolamento di sub-unità morfologiche geologicamente affini (per esempio massicci montuosi con stessa orogenesi e stesso litotipo) che potrebbero ospitare comunità biotiche interscambiabili, o l’ostruzione di corridoi ecologici altitudinali o latitudinali che potrebbero fornire una via di adattamento rapido ai cambiamenti microclimatici alle specie altamente mobili (insediamenti a mezza costa, fasce ad alta urbanizzazione con notevole estensione in senso latitudinale). Lo scopo del presente contribuito è quello di proporre una prima riflessione, concettuale e metodologica, sui fenomeni e i processi di evoluzione ecosistemica delle aree alpine deglacializzate a causa dei cambiamenti climatici antropogenici, quali particolari e significative espressioni del rapporto fra geodiversità, mobilità e biodiversità.
2023
ELEMENTI, ANIMALI, PIANTE: Mobilità dei costituenti, delle forze e degli organismi: Volume primo
Bertoncin, Marina... [et al.]
Padova
CLEUP
978 88 5495 574 5
Giardino, Marco; Pranzo, Andrea Marco Raffaele; Besana, Angelo
Una dinamicità nascosta: il ruolo del fattore abiotico nella mobilità degli ecosistemi delle aree deglacializzate / Giardino, Marco; Pranzo, Andrea Marco Raffaele; Besana, Angelo. - ELETTRONICO. - (2023), pp. 171-178. (Intervento presentato al convegno XXXIII Congresso Geografico Italiano "GEOGRAFIE IN MOVIMENTO" tenutosi a Padova nel 8-13 settembre 2021).
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
Atti-Congresso-Geografico-Italiano-2021-Giardino-Pranzo-Besana.pdf

accesso aperto

Descrizione: estratto
Tipologia: Versione editoriale (Publisher’s layout)
Licenza: Creative commons
Dimensione 2.18 MB
Formato Adobe PDF
2.18 MB Adobe PDF Visualizza/Apri

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11572/378647
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact