Entro il perimetro del tedesco come lingua dell’Impero asburgico (poi austro-ungarico), la città di Praga è un interessante specimen. L’incrocio culturale e linguistico ne è contrassegno. Alla fine dell’Ottocento, la popolazione si compone per il 90% di cechi, per il 6% di tedeschi, per il 4% di croati, ungheresi e appartenenti ad altre nazionalità. La componente tedesca è legata al pensiero liberale, all’idea di uno stato multietnico e sovranazionale, e alla casa d’Austria; anche gli ebrei praghesi, per la maggior parte, parlano il tedesco. L’ebraismo praghese è in prevalenza metropolitano e conforme agli schemi della civiltà borghese, si distingue per la fedeltà alla monarchia austro-ungarica e al modello culturale tedesco. A Praga, gli ebrei – in gran parte banchieri, commercianti, medici, avvocati – sono culturalmente e ideologicamente affini alla borghesia tedesca, ne condividono le simpatie liberali. Almeno fino allo scoppio della Prima guerra, tedeschi ed ebrei si affiancano nelle libere professioni, nelle associazioni culturali e nella stampa, avviando una feconda simbiosi che raggiunge livelli intellettuali altissimi, paragonabili, per importanza, agli analoghi fenomeni di coesistenza culturale ebraico-tedesca che segneranno la Repubblica di Weimar. Circondata dal nazionalismo della componente ceca, maggioritaria, separatista e permeabile alle istanze del movimento operaio, l’enclave culturale tedesca (soprattutto ebraico-tedesca) a Praga parla una lingua (Prager Deutsch), differente dalle varietà di Germania e d’Austria, con sfumature e tonalità proprie, quasi del tutto priva di influenze dialettali. E produce una letteratura in lingua tedesca che ha attratto l’attenzione su di sé come fenomeno culturale autonomo e staccato, muovendosi, per le vie della pubblicistica, della letteratura e della politica culturale con nomi del calibro di Karl Brand, Oskar Baum, Johannes Urzidil, Rudolf Fuchs, i fratelli Hans e Franz Janowitz, Otto Pick, Ernst Deutsch, Egon Erwin Kisch, Felix Weltsch, Max Brod, Franz Kafka. Il saggio si propone di ripercorrere la fisionomia di questa lingua e di questa costellazione culturale, misurando l’immagine, a volte un po’ oleografica, del tedesco di Praga come lingua corretta e libera da influenze regionali con il metro dei più recenti studi sull’argomento.
«Senza dialetto, profondamente levigato, di purezza adamantina»: il tedesco degli ebrei praghesi tra Otto e Novecento / De Villa, Massimiliano. - STAMPA. - (2022), pp. 222-255. (Intervento presentato al convegno Lingue nazionali, lingue imperiali tenutosi a Trento nel 4 febbraio 2022).
«Senza dialetto, profondamente levigato, di purezza adamantina»: il tedesco degli ebrei praghesi tra Otto e Novecento
De Villa, Massimiliano
2022-01-01
Abstract
Entro il perimetro del tedesco come lingua dell’Impero asburgico (poi austro-ungarico), la città di Praga è un interessante specimen. L’incrocio culturale e linguistico ne è contrassegno. Alla fine dell’Ottocento, la popolazione si compone per il 90% di cechi, per il 6% di tedeschi, per il 4% di croati, ungheresi e appartenenti ad altre nazionalità. La componente tedesca è legata al pensiero liberale, all’idea di uno stato multietnico e sovranazionale, e alla casa d’Austria; anche gli ebrei praghesi, per la maggior parte, parlano il tedesco. L’ebraismo praghese è in prevalenza metropolitano e conforme agli schemi della civiltà borghese, si distingue per la fedeltà alla monarchia austro-ungarica e al modello culturale tedesco. A Praga, gli ebrei – in gran parte banchieri, commercianti, medici, avvocati – sono culturalmente e ideologicamente affini alla borghesia tedesca, ne condividono le simpatie liberali. Almeno fino allo scoppio della Prima guerra, tedeschi ed ebrei si affiancano nelle libere professioni, nelle associazioni culturali e nella stampa, avviando una feconda simbiosi che raggiunge livelli intellettuali altissimi, paragonabili, per importanza, agli analoghi fenomeni di coesistenza culturale ebraico-tedesca che segneranno la Repubblica di Weimar. Circondata dal nazionalismo della componente ceca, maggioritaria, separatista e permeabile alle istanze del movimento operaio, l’enclave culturale tedesca (soprattutto ebraico-tedesca) a Praga parla una lingua (Prager Deutsch), differente dalle varietà di Germania e d’Austria, con sfumature e tonalità proprie, quasi del tutto priva di influenze dialettali. E produce una letteratura in lingua tedesca che ha attratto l’attenzione su di sé come fenomeno culturale autonomo e staccato, muovendosi, per le vie della pubblicistica, della letteratura e della politica culturale con nomi del calibro di Karl Brand, Oskar Baum, Johannes Urzidil, Rudolf Fuchs, i fratelli Hans e Franz Janowitz, Otto Pick, Ernst Deutsch, Egon Erwin Kisch, Felix Weltsch, Max Brod, Franz Kafka. Il saggio si propone di ripercorrere la fisionomia di questa lingua e di questa costellazione culturale, misurando l’immagine, a volte un po’ oleografica, del tedesco di Praga come lingua corretta e libera da influenze regionali con il metro dei più recenti studi sull’argomento.File | Dimensione | Formato | |
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