Tra il Seicento e il Settecento, città dell’Europa centro-orientale come Cracovia, Varsavia, Lublino (ma anche centri popolosi in Ungheria, Romania, Ucraina) erano diventate crocevia di vita ebraica, e lo yiddish (o meglio, il cosiddetto yiddish orientale), pur con tutte le sue varietà locali, era la lingua franca di quasi tutti gli ebrei ashkenaziti di quei paesi, con una fioritura letteraria ampia e variegata, verso campi e problematiche di acuta modernità. Ma già a partire dai suoi primordi (sec. XIII), nella fase del cosiddetto yiddish occidentale – diffuso in Germania, Alsazia, Svizzera, Olanda fino alla sua estinzione nel XVIII secolo per assimilazione alle lingue germaniche predominanti – lo yiddish è la lingua parlata tanto al mercato quanto nelle accademie talmudiche, e diventa veicolo di espressione per generi letterari non coperti dalle lingue ebraica e aramaica, mentre la stampa in yiddish conosce una grande espansione per tutto il sedicesimo secolo. Nell’Ottocento, lo yiddish orientale è invece una delle ‘lingue ebraiche’ più diffuse al mondo e una delle tre maggiori lingue letterarie (insieme all’ebraico e all’aramaico) nella storia dell’ebraismo. Diffusa dal chassidismo e promossa ulteriormente da altri movimenti politici, sociali, pedagogici (su tutti, il bundismo), lo yiddish sarà ‘esportato’ in tutti i continenti grazie all’emigrazione di massa degli ebrei dall’Europa orientale, estendendo ulteriormente il proprio ruolo di lingua franca dell’ebraismo. Milioni di parlanti yiddish saranno vittime dello sterminio nazionalsocialista e il numero si ridurrà drasticamente anche a causa della soppressione ufficiale di questa lingua nei paesi dell’Unione Sovietica, dell’antagonismo delle autorità israeliane, zelanti nella promozione del neo-ebraico (‘ivrit) e del passaggio, massiccio e volontario, di molti ebrei verso le lingue maggioritarie dei diversi paesi di residenza. E tuttavia, lo yiddish manterrà, anche grazie ai tentativi di studio e diffusione promossi da varie università e da altrettante realtà culturali, il suo status di lingua trasversale e la sua promessa di ‘comprensione universale’. Il contributo si propone di ripercorrere, da un punto di vista storico-culturale, le vicende dello yiddish come lingua di comunicazione internazionale e sovranazionale.

"Una porta che si apre su molti paesi": lo yiddish come lingua franca tra Medioevo e contemporaneità / De Villa, Massimiliano. - STAMPA. - (2021), pp. 141-180. (Intervento presentato al convegno Lingua franca, lingue franche tenutosi a Università di Trento - Dipartimento di Lettere e Filosofia (Palazzo Prodi) nel 5 febbraio 2021).

"Una porta che si apre su molti paesi": lo yiddish come lingua franca tra Medioevo e contemporaneità

De Villa, Massimiliano
2021-01-01

Abstract

Tra il Seicento e il Settecento, città dell’Europa centro-orientale come Cracovia, Varsavia, Lublino (ma anche centri popolosi in Ungheria, Romania, Ucraina) erano diventate crocevia di vita ebraica, e lo yiddish (o meglio, il cosiddetto yiddish orientale), pur con tutte le sue varietà locali, era la lingua franca di quasi tutti gli ebrei ashkenaziti di quei paesi, con una fioritura letteraria ampia e variegata, verso campi e problematiche di acuta modernità. Ma già a partire dai suoi primordi (sec. XIII), nella fase del cosiddetto yiddish occidentale – diffuso in Germania, Alsazia, Svizzera, Olanda fino alla sua estinzione nel XVIII secolo per assimilazione alle lingue germaniche predominanti – lo yiddish è la lingua parlata tanto al mercato quanto nelle accademie talmudiche, e diventa veicolo di espressione per generi letterari non coperti dalle lingue ebraica e aramaica, mentre la stampa in yiddish conosce una grande espansione per tutto il sedicesimo secolo. Nell’Ottocento, lo yiddish orientale è invece una delle ‘lingue ebraiche’ più diffuse al mondo e una delle tre maggiori lingue letterarie (insieme all’ebraico e all’aramaico) nella storia dell’ebraismo. Diffusa dal chassidismo e promossa ulteriormente da altri movimenti politici, sociali, pedagogici (su tutti, il bundismo), lo yiddish sarà ‘esportato’ in tutti i continenti grazie all’emigrazione di massa degli ebrei dall’Europa orientale, estendendo ulteriormente il proprio ruolo di lingua franca dell’ebraismo. Milioni di parlanti yiddish saranno vittime dello sterminio nazionalsocialista e il numero si ridurrà drasticamente anche a causa della soppressione ufficiale di questa lingua nei paesi dell’Unione Sovietica, dell’antagonismo delle autorità israeliane, zelanti nella promozione del neo-ebraico (‘ivrit) e del passaggio, massiccio e volontario, di molti ebrei verso le lingue maggioritarie dei diversi paesi di residenza. E tuttavia, lo yiddish manterrà, anche grazie ai tentativi di studio e diffusione promossi da varie università e da altrettante realtà culturali, il suo status di lingua trasversale e la sua promessa di ‘comprensione universale’. Il contributo si propone di ripercorrere, da un punto di vista storico-culturale, le vicende dello yiddish come lingua di comunicazione internazionale e sovranazionale.
2021
Lingua franca, lingue franche: Atti della Giornata di studi (Trento, Dipartimento di Lettere e Filosofia, Palazzo P. Prodi, 5 febbraio 2021)
Astori, Davide; De Villa, Massimiliano ... [et al.]
Alessandria
Edizioni dell'Orso
9788836132010
De Villa, Massimiliano
"Una porta che si apre su molti paesi": lo yiddish come lingua franca tra Medioevo e contemporaneità / De Villa, Massimiliano. - STAMPA. - (2021), pp. 141-180. (Intervento presentato al convegno Lingua franca, lingue franche tenutosi a Università di Trento - Dipartimento di Lettere e Filosofia (Palazzo Prodi) nel 5 febbraio 2021).
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