Molto si è parlato e scritto sul ’68 in Italia, soprattutto con cadenza decennale, ed ampia è la vena memorialistica che sin dagli anni Settanta alimenta una produzione editoriale assai cospicua. Risulta tuttavia solo molto recente l’attenzione per le vicende dei movimenti di contestazione dimostrata in ambito storiografico, con riferimento alle tradizionali fonti d’archivio o a documenti a stampa di varia provenienza, con un gap sorprendente rispetto all’immediata messe di ricerche storiche apparse – solo per fare un confronto – sul ventennio fascista o sulla Resistenza, appunto, sin dai primi anni Cinquanta. Per quanti sono abituati a indagare il passato grazie all’ausilio di fonti scritte di natura documentaria, la presenza di testimoni viventi dei fatti studiati pone il problema di integrare, nelle parole di Eric Hobsbawm, “la memoria d’archivio e quella personale”, offrendo così l’opportunità di ampliare ulteriormente il panorama delle fonti, così da moltiplicare i “punti di vista” sui quali riflettere in sede di ricostruzione storica. Non di meno, l’obiettivo di quanti raccolgono fonti orali per la ricerca storica non può essere solo la scoperta di ulteriori testimonianze funzionali al tentativo di cogliere i fatti “per come sono effettivamente andati”. Lo scopo da perseguire pare piuttosto il reperimento di materiali da mettere a disposizione di chi voglia studiare il modo in cui una certa realtà venne colta, all’epoca dei fatti, da coloro i quali la vissero e come nel tempo quella stessa memoria si sia evoluta, trasformandosi nel ricordo, solitamente selettivo, che a distanza di tanti anni è ancora possibile registrare. Secondo gli esiti di un dibattito sviluppatosi dalla fine degli anni Settanta, l’attenzione tende quindi a spostarsi sulla memoria dei fatti e sulla sua trasmissione, colte attraverso la soggettività dei narratori. Una oral history che ponga in primo piano la dimensione della soggettività delle testimonianze autobiografiche, la mentalità degli individui e dei gruppi sociali finisce così per offrire, nelle parole di Alessandro Portelli, un contributo “non solo sui fatti, ma su quello che essi hanno voluto dire per chi li ha vissuti e li racconta; non solo su quello che le persone hanno fatto, ma su quello che volevano fare, che credevano di fare, che credono di avere fatto; sulle motivazioni, sui ripensamenti, sui giudizi e le razionalizzazioni”; e ancora, “l’interesse della testimonianza orale non consiste solamente nella sua aderenza ai fatti, ma nella sua divaricazione da essi: perché in questo scarto s’insinua l’immaginario, il simbolico, il desiderio”. Cercare di “render conto di quelle contraddizioni, lacune e deformazioni tipiche della memoria umana, che appaiono altrimenti irrimediabilmente casuali e inspiegabili”, porta quindi a interrogarsi su uno degli aspetti non certo secondari della dialettica tra passato e presente. Quale che sia la lettura da riservare al fenomeno testé intuito, un’attenta osservazione del materiale raccolto invita ad andare in cerca di nuclei problematici intorno ai quali, come nebulose, si addensano le testimonianze, in un intreccio di concordanze e discordanze che non intendiamo certo, a posteriori, ridurre ad unum a fini storiografici, bensì mettere in risalto come tali, così da mostrare quanto nella nostra ricerca rinvii a “memorie condivise”, forse germogliate da un medesimo substrato “collettivo”, o a “punti di vista” personali, a formare in corrispondenza di alcuni eventi salienti una vera e propria partizione o lacerazione della memoria, ancor oggi fortissima.
«Quei mille o duemila giovani […] che operano a Trento o a Torino, a Pavia o a Pisa, a Firenze e un po’ anche a Roma». Il Sessantotto e la memoria degli studenti / Giorgi, Andrea; Mineo, Leonardo. - STAMPA. - (2020), pp. 187-223.
«Quei mille o duemila giovani […] che operano a Trento o a Torino, a Pavia o a Pisa, a Firenze e un po’ anche a Roma». Il Sessantotto e la memoria degli studenti
Giorgi, Andrea;Mineo, Leonardo
2020-01-01
Abstract
Molto si è parlato e scritto sul ’68 in Italia, soprattutto con cadenza decennale, ed ampia è la vena memorialistica che sin dagli anni Settanta alimenta una produzione editoriale assai cospicua. Risulta tuttavia solo molto recente l’attenzione per le vicende dei movimenti di contestazione dimostrata in ambito storiografico, con riferimento alle tradizionali fonti d’archivio o a documenti a stampa di varia provenienza, con un gap sorprendente rispetto all’immediata messe di ricerche storiche apparse – solo per fare un confronto – sul ventennio fascista o sulla Resistenza, appunto, sin dai primi anni Cinquanta. Per quanti sono abituati a indagare il passato grazie all’ausilio di fonti scritte di natura documentaria, la presenza di testimoni viventi dei fatti studiati pone il problema di integrare, nelle parole di Eric Hobsbawm, “la memoria d’archivio e quella personale”, offrendo così l’opportunità di ampliare ulteriormente il panorama delle fonti, così da moltiplicare i “punti di vista” sui quali riflettere in sede di ricostruzione storica. Non di meno, l’obiettivo di quanti raccolgono fonti orali per la ricerca storica non può essere solo la scoperta di ulteriori testimonianze funzionali al tentativo di cogliere i fatti “per come sono effettivamente andati”. Lo scopo da perseguire pare piuttosto il reperimento di materiali da mettere a disposizione di chi voglia studiare il modo in cui una certa realtà venne colta, all’epoca dei fatti, da coloro i quali la vissero e come nel tempo quella stessa memoria si sia evoluta, trasformandosi nel ricordo, solitamente selettivo, che a distanza di tanti anni è ancora possibile registrare. Secondo gli esiti di un dibattito sviluppatosi dalla fine degli anni Settanta, l’attenzione tende quindi a spostarsi sulla memoria dei fatti e sulla sua trasmissione, colte attraverso la soggettività dei narratori. Una oral history che ponga in primo piano la dimensione della soggettività delle testimonianze autobiografiche, la mentalità degli individui e dei gruppi sociali finisce così per offrire, nelle parole di Alessandro Portelli, un contributo “non solo sui fatti, ma su quello che essi hanno voluto dire per chi li ha vissuti e li racconta; non solo su quello che le persone hanno fatto, ma su quello che volevano fare, che credevano di fare, che credono di avere fatto; sulle motivazioni, sui ripensamenti, sui giudizi e le razionalizzazioni”; e ancora, “l’interesse della testimonianza orale non consiste solamente nella sua aderenza ai fatti, ma nella sua divaricazione da essi: perché in questo scarto s’insinua l’immaginario, il simbolico, il desiderio”. Cercare di “render conto di quelle contraddizioni, lacune e deformazioni tipiche della memoria umana, che appaiono altrimenti irrimediabilmente casuali e inspiegabili”, porta quindi a interrogarsi su uno degli aspetti non certo secondari della dialettica tra passato e presente. Quale che sia la lettura da riservare al fenomeno testé intuito, un’attenta osservazione del materiale raccolto invita ad andare in cerca di nuclei problematici intorno ai quali, come nebulose, si addensano le testimonianze, in un intreccio di concordanze e discordanze che non intendiamo certo, a posteriori, ridurre ad unum a fini storiografici, bensì mettere in risalto come tali, così da mostrare quanto nella nostra ricerca rinvii a “memorie condivise”, forse germogliate da un medesimo substrato “collettivo”, o a “punti di vista” personali, a formare in corrispondenza di alcuni eventi salienti una vera e propria partizione o lacerazione della memoria, ancor oggi fortissima.File | Dimensione | Formato | |
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