«A Firenze li uomini amano naturalmente la equalità e però si accordano mal volentieri a avere e riconoscere altri per superiore».1 Con queste parole pronunciate dal vecchio con- sigliere mediceo, Bernardo Del Nero, Francesco Guicciardini introduceva nel Dialogo del reggimento di Firenze, il discorso sulle caratteristiche del regime mediceo. Un tema che percorrerà tutti i suoi scritti e che sarà anche alla radice di tutte le opere machiavelliane, il Principe innanzitutto. Firenze è sem- pre stata una repubblica, nella quale l’«equalità» tra i cittadini dinanzi alla legge, non implicava anche una eguaglianza sociale. Come ricorda Machiavelli nel capitolo VI del Princi- pe, la città era ben divisa tra grandi e popolo, due «umori» differenti ai quali corrispondono due diversi appetiti: quello di dominare dei grandi e quello di non essere dominati del popolo. Si trattava di una condizione della quale, dunque, ogni tentativo di dar vita a una riforma repubblicana «bene ordinata», avrebbe dovuto tener conto. È ciò che tenta di fare il «popolare» Machiavelli nei suoi Discorsi e poi nel Discursus florentinarum rerum. Come del resto anche Guicciardini, più «elitista», nel Discorso di Logroño e nel Dialogo del reggimento di Firenze. Questi ricorda come a Firenze rispettare l’«equalità» significasse essenzialmente rispettare il «bene di tutti, distinguendo a ciascheduno secondo el grado suo».
Repubblica e tirannide occulta: Francesco Guicciardini e la natura del regime mediceo / Carta, Paolo. - STAMPA. - (2020), pp. 23-34.
Repubblica e tirannide occulta: Francesco Guicciardini e la natura del regime mediceo
Carta, Paolo
2020-01-01
Abstract
«A Firenze li uomini amano naturalmente la equalità e però si accordano mal volentieri a avere e riconoscere altri per superiore».1 Con queste parole pronunciate dal vecchio con- sigliere mediceo, Bernardo Del Nero, Francesco Guicciardini introduceva nel Dialogo del reggimento di Firenze, il discorso sulle caratteristiche del regime mediceo. Un tema che percorrerà tutti i suoi scritti e che sarà anche alla radice di tutte le opere machiavelliane, il Principe innanzitutto. Firenze è sem- pre stata una repubblica, nella quale l’«equalità» tra i cittadini dinanzi alla legge, non implicava anche una eguaglianza sociale. Come ricorda Machiavelli nel capitolo VI del Princi- pe, la città era ben divisa tra grandi e popolo, due «umori» differenti ai quali corrispondono due diversi appetiti: quello di dominare dei grandi e quello di non essere dominati del popolo. Si trattava di una condizione della quale, dunque, ogni tentativo di dar vita a una riforma repubblicana «bene ordinata», avrebbe dovuto tener conto. È ciò che tenta di fare il «popolare» Machiavelli nei suoi Discorsi e poi nel Discursus florentinarum rerum. Come del resto anche Guicciardini, più «elitista», nel Discorso di Logroño e nel Dialogo del reggimento di Firenze. Questi ricorda come a Firenze rispettare l’«equalità» significasse essenzialmente rispettare il «bene di tutti, distinguendo a ciascheduno secondo el grado suo».File | Dimensione | Formato | |
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