E’ noto che nel nostro Paese, come in altri dell’area mediterranea, l’uscita di casa avviene alquanto avanti nel tempo e contestualmente alla formazione di una nuova famiglia. L’uscita ritardata dalla casa dei genitori deriva da due ordini di motivi: il primo, di tipo strutturale, comprende l’allungamento del percorso formativo, dalla carenza di affitti e da un’entrata nel mondo del lavoro, oltre che tardiva, caratterizzata da condizioni di precariato. Da aggiungere infine la presenza in Italia di un welfare che non soddisfa i bisogni delle giovani generazioni che devono fare a lungo affidamento sulla famiglia d’origine. A rallentare il processo di autonomia interviene anche un secondo ordine di fattori, di tipo culturale: nelle famiglie italiane i legami si mantengono molto forti e solidali a livello intergenerazionale. Già nella prima edizione della ricerca i giovani trentini si erano segnalati per la maggiore precocità con la quale transitavano dalla condizione adolescenziale a quella adulta. La situazione appare ancora favorevole – nel senso che i trentini assumono i ruoli adulti definitivi prima dei loro coetanei delle altre regioni – ma la distanza con il resto del paese si è ridotta considerevolmente. Ciò per due motivi concomitanti: mentre i giovani italiani manifestano per la prima volta nell’ultimo ventennio una – pur limitata – inversione di tendenza assumendo un poco prima rispetto a qualche anno fa i ruoli e le responsabilità tipiche della condizione adulta, i giovani trentini registrano invece nell’ultimo quinquennio un peggioramento dei tempi di superamento delle soglie che emblematicamente segnano la transizione (uscita dal circuito scolastico, entrata nel mercato del lavoro, abbandono della casa genitoriale, creazione di un nuovo nucleo familiare, nascita del primo figlio). Il dato nuovo, che emerge in questa ricerca e che purtroppo non ha comparazioni con la realtà nazionale, è che i figli conviventi con i genitori ipotizzano un’uscita dalla famiglia più ravvicinata di quanto le rispettive madri prevedano. Come interpretare questo dato? Le genitrici forse mostrano di essere più realiste nel valutare le reali intenzioni dei figli, oppure la tendenza a procrastinare la previsione di uscita cela la speranza di molte madri che i figli rimangano per il maggior tempo possibile in famiglia? Qualunque sia la risposta, rimane il fatto che la convivenza dei figli nella famiglia d’origine sia ben presente anche quando non ce ne sarebbe reale necessità: studi terminati, lavoro trovato, legami affettivi consolidati sembrano condizioni fondamentali ma non decisive. Viene con questo ribadito il ruolo significativo degli aspetti culturali e motivazionali nella determinazione del fenomeno e la presenza, da una parte, di una sorta di inerzia che impedisce al giovane di cercare di uscire da casa e, dall’altra, di una tendenza dei genitori a trattenere i figli in casa. Per un figlio vivere in famiglia comporta indubbi vantaggi economici, nel contempo la famiglia chiede poco ai figli in termini di collaborazione ai lavori domestici e concede loro ampi margini di libertà. Aspetti questi che concorrono a consolidare la tendenza alla permanenza nella casa paterna.

Diventare adulti tra ritardi e difficoltà

Sartori, Francesca
2007-01-01

Abstract

E’ noto che nel nostro Paese, come in altri dell’area mediterranea, l’uscita di casa avviene alquanto avanti nel tempo e contestualmente alla formazione di una nuova famiglia. L’uscita ritardata dalla casa dei genitori deriva da due ordini di motivi: il primo, di tipo strutturale, comprende l’allungamento del percorso formativo, dalla carenza di affitti e da un’entrata nel mondo del lavoro, oltre che tardiva, caratterizzata da condizioni di precariato. Da aggiungere infine la presenza in Italia di un welfare che non soddisfa i bisogni delle giovani generazioni che devono fare a lungo affidamento sulla famiglia d’origine. A rallentare il processo di autonomia interviene anche un secondo ordine di fattori, di tipo culturale: nelle famiglie italiane i legami si mantengono molto forti e solidali a livello intergenerazionale. Già nella prima edizione della ricerca i giovani trentini si erano segnalati per la maggiore precocità con la quale transitavano dalla condizione adolescenziale a quella adulta. La situazione appare ancora favorevole – nel senso che i trentini assumono i ruoli adulti definitivi prima dei loro coetanei delle altre regioni – ma la distanza con il resto del paese si è ridotta considerevolmente. Ciò per due motivi concomitanti: mentre i giovani italiani manifestano per la prima volta nell’ultimo ventennio una – pur limitata – inversione di tendenza assumendo un poco prima rispetto a qualche anno fa i ruoli e le responsabilità tipiche della condizione adulta, i giovani trentini registrano invece nell’ultimo quinquennio un peggioramento dei tempi di superamento delle soglie che emblematicamente segnano la transizione (uscita dal circuito scolastico, entrata nel mercato del lavoro, abbandono della casa genitoriale, creazione di un nuovo nucleo familiare, nascita del primo figlio). Il dato nuovo, che emerge in questa ricerca e che purtroppo non ha comparazioni con la realtà nazionale, è che i figli conviventi con i genitori ipotizzano un’uscita dalla famiglia più ravvicinata di quanto le rispettive madri prevedano. Come interpretare questo dato? Le genitrici forse mostrano di essere più realiste nel valutare le reali intenzioni dei figli, oppure la tendenza a procrastinare la previsione di uscita cela la speranza di molte madri che i figli rimangano per il maggior tempo possibile in famiglia? Qualunque sia la risposta, rimane il fatto che la convivenza dei figli nella famiglia d’origine sia ben presente anche quando non ce ne sarebbe reale necessità: studi terminati, lavoro trovato, legami affettivi consolidati sembrano condizioni fondamentali ma non decisive. Viene con questo ribadito il ruolo significativo degli aspetti culturali e motivazionali nella determinazione del fenomeno e la presenza, da una parte, di una sorta di inerzia che impedisce al giovane di cercare di uscire da casa e, dall’altra, di una tendenza dei genitori a trattenere i figli in casa. Per un figlio vivere in famiglia comporta indubbi vantaggi economici, nel contempo la famiglia chiede poco ai figli in termini di collaborazione ai lavori domestici e concede loro ampi margini di libertà. Aspetti questi che concorrono a consolidare la tendenza alla permanenza nella casa paterna.
2007
Generazioni in movimento
Bologna
Il mulino
9788815121356
Sartori, Francesca
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11572/25963
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