Il contributo prende le mosse dall'impatto sulla produttività del lavoro dello sviluppo di pratiche di gestione del personale volte ad accrescerne le competenze. In tale ottica si indaga anzitutto con approccio interdisciplinare in che cosa consistano tali pratiche sottolineando come le stesse puntino su uno sviluppo della struttura "orizzontale" o reticolare dell'impresa in luogo di quella verticale (con maggiore responsabilizzazione dei lavoratori, anche di livello medio-basso, maggiore sinergia e collaborazione tra gli stessi, scambio di informazioni e competenze, sviluppo della capacità di problem solving e rotazione su tutte o quasi le mansioni coinvolte nel processo produttivo in cui è inserito il lavoratore). In secondo luogo si sottolineano le misure di accompagnamento che possono garantire realmente il successo di tali pratiche quali la sinergia tra le diverse pratiche ritenute performanti, sistemi di monitoraggio e valutazione delle competenze dei lavoratori, misure formative, sistemi di incentivazione retributiva c.d. skill-based che spingano il lavoratore ad attivare al massimo la sua "partecipazione cognitiva" e infine l'implementazione di tali misure ad opera del contratto collettivo aziendale. Offerta tale panoramica sulle caratteristiche delle prassi in questione si mettono in evidenza i principali ostacoli giuridici ad una loro effettiva implementazione; partendo dall'assunto che tali modelli necessitano di ruoli professionali aperti si mette in evidenza come siano necessarie, da un lato, norme che consentano all'impresa e al contratto collettivo un sufficiente margine di manovra nell'assegnazione delle mansioni ai lavoratori e, dall'altro, contratti collettivi realmente abilitati (ed efficacemente incentivati) ad incidere su tali aspetti, con la precisazione che si dovrà trattare di contratti di livello aziendale attesa la necessità che i ruoli professionali aperti vengano "disegnati" solo per lo specifico contesto produttivo. Da quest'ultimo punto di vista si sottolinea la criticità legata alla scarsa diffusione dei contratti collettivi aziendali nel contesto italiano e l'esistenza di norme, come l'art. 2103 c.c., che fino a tempi recenti impedivano l'adozione di modelli di sviluppo delle competenze. Il contributo si chiude con una panoramica dei contratti collettivi decentrati che hanno ufficializzato prassi di gestione del personale all'insegna dello sviluppo delle competenze, offrendone una lettura in chiave critica, che ne mette in evidenza limiti e aspetti virtuosi.
Sviluppo delle competenze, produttività e ruolo del contratto collettivo decentrato / Brun, Stefania. - STAMPA. - (2018), pp. 201-235.
Sviluppo delle competenze, produttività e ruolo del contratto collettivo decentrato
Brun, Stefania
2018-01-01
Abstract
Il contributo prende le mosse dall'impatto sulla produttività del lavoro dello sviluppo di pratiche di gestione del personale volte ad accrescerne le competenze. In tale ottica si indaga anzitutto con approccio interdisciplinare in che cosa consistano tali pratiche sottolineando come le stesse puntino su uno sviluppo della struttura "orizzontale" o reticolare dell'impresa in luogo di quella verticale (con maggiore responsabilizzazione dei lavoratori, anche di livello medio-basso, maggiore sinergia e collaborazione tra gli stessi, scambio di informazioni e competenze, sviluppo della capacità di problem solving e rotazione su tutte o quasi le mansioni coinvolte nel processo produttivo in cui è inserito il lavoratore). In secondo luogo si sottolineano le misure di accompagnamento che possono garantire realmente il successo di tali pratiche quali la sinergia tra le diverse pratiche ritenute performanti, sistemi di monitoraggio e valutazione delle competenze dei lavoratori, misure formative, sistemi di incentivazione retributiva c.d. skill-based che spingano il lavoratore ad attivare al massimo la sua "partecipazione cognitiva" e infine l'implementazione di tali misure ad opera del contratto collettivo aziendale. Offerta tale panoramica sulle caratteristiche delle prassi in questione si mettono in evidenza i principali ostacoli giuridici ad una loro effettiva implementazione; partendo dall'assunto che tali modelli necessitano di ruoli professionali aperti si mette in evidenza come siano necessarie, da un lato, norme che consentano all'impresa e al contratto collettivo un sufficiente margine di manovra nell'assegnazione delle mansioni ai lavoratori e, dall'altro, contratti collettivi realmente abilitati (ed efficacemente incentivati) ad incidere su tali aspetti, con la precisazione che si dovrà trattare di contratti di livello aziendale attesa la necessità che i ruoli professionali aperti vengano "disegnati" solo per lo specifico contesto produttivo. Da quest'ultimo punto di vista si sottolinea la criticità legata alla scarsa diffusione dei contratti collettivi aziendali nel contesto italiano e l'esistenza di norme, come l'art. 2103 c.c., che fino a tempi recenti impedivano l'adozione di modelli di sviluppo delle competenze. Il contributo si chiude con una panoramica dei contratti collettivi decentrati che hanno ufficializzato prassi di gestione del personale all'insegna dello sviluppo delle competenze, offrendone una lettura in chiave critica, che ne mette in evidenza limiti e aspetti virtuosi.File | Dimensione | Formato | |
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