Il progetto di istituire un Pubblico Ministero Europeo, per rendere più efficace la persecuzione e la repressione di illeciti lesivi degli interessi finanziari dell’Unione europea – oggi rilanciato con forza dal Trattato di Lisbona – vedeva la luce al volgere degli anni novanta del secolo scorso: l’articolo si inserisce nel solco del ricco dibattito che tale progetto fin da subito suscitò e che si pose come base di sviluppo per le riflessioni successive. Il saggio esamina – più in particolare – il testo della proposta formulata nell’ambito del c.d. Corpus juris 2000 (ossia la seconda versione del progetto così denominato, risultante dai volumi pubblicati con il titolo La mise en œuvre du Corpus Juris dans les Etats Membres, Antwerpen, 2000, cui è dedicata la raccolta di scritti in cui il saggio stesso si inserisce, fra le più conosciute e citate negli studi successivi). La prospettiva in cui l’autore incentra il suo interesse va al di là dell’esame delle soluzioni normative prospettate per le questioni più problematiche (identità istituzionale e poteri del pubblico ministero europeo) e si colloca nel tentativo di cogliere i caratteri generali e, per così dire, l’indole complessiva del progetto, alla luce della classica dicotomia tra modelli “accusatori” e “inquisitori”, con riguardo alla fisionomia dei poteri d’accusa e dei loro confini rispetto a quelli giurisdizionali, soprattutto nel campo – per molti versi nevralgico – della formazione della prova. Le conclusioni raggiunte individuano, da un lato, forti tratti della tradizione inquisitoria (a dispetto del proposito, espresso dai redattori del progetto, di realizzare un equo bilanciamento fra le due tradizioni processuali) e, dall’altro, prerogative molto accentuate in capo al vagheggiato accusatore europeo, tali da non arrestarsi al livello dell’azione penale, ma destinate a coinvolgere anche il piano della prova e – con essa – quello del giudizio e della sentenza di merito. Proprio per il loro carattere generale e “sistemico”, le riflessioni proposte nel saggio mantengono attualità e interesse, almeno sul piano del metodo, anche rispetto alle prospettive cui si accennava in apertura, dischiuse dal Trattato di Lisbona.
Un accusatore dai molti poteri
Busetto, Marcello Luigi
2004-01-01
Abstract
Il progetto di istituire un Pubblico Ministero Europeo, per rendere più efficace la persecuzione e la repressione di illeciti lesivi degli interessi finanziari dell’Unione europea – oggi rilanciato con forza dal Trattato di Lisbona – vedeva la luce al volgere degli anni novanta del secolo scorso: l’articolo si inserisce nel solco del ricco dibattito che tale progetto fin da subito suscitò e che si pose come base di sviluppo per le riflessioni successive. Il saggio esamina – più in particolare – il testo della proposta formulata nell’ambito del c.d. Corpus juris 2000 (ossia la seconda versione del progetto così denominato, risultante dai volumi pubblicati con il titolo La mise en œuvre du Corpus Juris dans les Etats Membres, Antwerpen, 2000, cui è dedicata la raccolta di scritti in cui il saggio stesso si inserisce, fra le più conosciute e citate negli studi successivi). La prospettiva in cui l’autore incentra il suo interesse va al di là dell’esame delle soluzioni normative prospettate per le questioni più problematiche (identità istituzionale e poteri del pubblico ministero europeo) e si colloca nel tentativo di cogliere i caratteri generali e, per così dire, l’indole complessiva del progetto, alla luce della classica dicotomia tra modelli “accusatori” e “inquisitori”, con riguardo alla fisionomia dei poteri d’accusa e dei loro confini rispetto a quelli giurisdizionali, soprattutto nel campo – per molti versi nevralgico – della formazione della prova. Le conclusioni raggiunte individuano, da un lato, forti tratti della tradizione inquisitoria (a dispetto del proposito, espresso dai redattori del progetto, di realizzare un equo bilanciamento fra le due tradizioni processuali) e, dall’altro, prerogative molto accentuate in capo al vagheggiato accusatore europeo, tali da non arrestarsi al livello dell’azione penale, ma destinate a coinvolgere anche il piano della prova e – con essa – quello del giudizio e della sentenza di merito. Proprio per il loro carattere generale e “sistemico”, le riflessioni proposte nel saggio mantengono attualità e interesse, almeno sul piano del metodo, anche rispetto alle prospettive cui si accennava in apertura, dischiuse dal Trattato di Lisbona.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione