L’articolo prende in esame gli insiemi metaforici tanto spesso reimpiegati nel discorso critico antico sulla declamazione, in cui la polemica si materia di immagini memorabili, diffuse paradossalmente, nonostante il loro carattere ostile, anche all’interno stesso degli ambienti declamatori. L’esercizio progimnasmatico delle eikones rappresentò da questo punto di vista uno degli elementi che favorì la produzione e la diffusione di queste metafore, divenendo una vera e propria macchina produttrice di immagini e di similitudini presto tradizionali. Viene così passata in rassegna sia l’immagine della declamazione come mondo ‘altro’ e parallelo, singolare universo di follia; sia la vanitas che connota nelle nostre fonti l’esercizio declamatorio, paragonato all’inutile arte dei giocolieri, alla natura vana dei sogni, a chi voglia esercitare in una piscina l’arte del timoniere, a chi si crea dei labili simulacri della realtà e avversari fittizi per inseguire una falsa imago laudis, un vano miraggio di gloria. Particolarmente ricca di immagini e similitudini tanto variegate quanto memorabili appare poi la metaforologia che circonda le sententiae dei declamatori, rappresentate di volta in volta come dolci globuli cosparsi si sesamo e di papavero, molli susine, sabbia, tessere di mosaico, vetri infranti e interpretazioni di sogni. Se la prosa artefatta, ritmata e cantilenante della declamazione viene descritta attraverso l’associazione con strumenti musicali, in particolare quelli di origine esotica e associati a riti orgiastici come timpani e cembali, la retorica dei declamatori assume, recependo una metaforologia già usata spesso per la prosa asiana, la persona allegorica di un’Eloquenza effeminata, morbosa, truccata e vestita delle vesti sgargianti di una prostituta. Peculiari risonanze politiche assume infine la metafora estremamente caratteristica dell’ombra delle scuole di declamazione, opposta alla luce solare dell’oratoria nel Foro. Questa metafora infatti viene tematizzata da Seneca il Vecchio nell’umbratile personaggio del celebre declamatore Porcio Latrone: il suo fallimento nel campo dell’oratoria forense nel processo del suo parente Rustico Porcio rappresenta allora quasi un deliberato rovesciamento di segno rispetto alla ciceroniana Pro rege Deiotaro, tenuta insolitamente, invece che nel Foro, presso la casa privata di Cesare. Se Cicerone vi lamentava di non poter utilizzare appieno le proprie risorse oratorie nel chiuso di una casa, lontano dalla folla, privo della visione del cielo cui appellarsi, Porcio Latrone (con un rovesciamento di posizioni che non appare casuale) non sopporterà appunto l’aria aperta e le voci del Foro, abituato com’è all’ombra reclusiva delle quattro pareti degli auditoria.

Mondi fittizi, oscure tenebre, ombre di sogni: appunti per una metaforologia metadeclamatoria e le sue connotazioni politiche

Moretti, Gabriella
2010-01-01

Abstract

L’articolo prende in esame gli insiemi metaforici tanto spesso reimpiegati nel discorso critico antico sulla declamazione, in cui la polemica si materia di immagini memorabili, diffuse paradossalmente, nonostante il loro carattere ostile, anche all’interno stesso degli ambienti declamatori. L’esercizio progimnasmatico delle eikones rappresentò da questo punto di vista uno degli elementi che favorì la produzione e la diffusione di queste metafore, divenendo una vera e propria macchina produttrice di immagini e di similitudini presto tradizionali. Viene così passata in rassegna sia l’immagine della declamazione come mondo ‘altro’ e parallelo, singolare universo di follia; sia la vanitas che connota nelle nostre fonti l’esercizio declamatorio, paragonato all’inutile arte dei giocolieri, alla natura vana dei sogni, a chi voglia esercitare in una piscina l’arte del timoniere, a chi si crea dei labili simulacri della realtà e avversari fittizi per inseguire una falsa imago laudis, un vano miraggio di gloria. Particolarmente ricca di immagini e similitudini tanto variegate quanto memorabili appare poi la metaforologia che circonda le sententiae dei declamatori, rappresentate di volta in volta come dolci globuli cosparsi si sesamo e di papavero, molli susine, sabbia, tessere di mosaico, vetri infranti e interpretazioni di sogni. Se la prosa artefatta, ritmata e cantilenante della declamazione viene descritta attraverso l’associazione con strumenti musicali, in particolare quelli di origine esotica e associati a riti orgiastici come timpani e cembali, la retorica dei declamatori assume, recependo una metaforologia già usata spesso per la prosa asiana, la persona allegorica di un’Eloquenza effeminata, morbosa, truccata e vestita delle vesti sgargianti di una prostituta. Peculiari risonanze politiche assume infine la metafora estremamente caratteristica dell’ombra delle scuole di declamazione, opposta alla luce solare dell’oratoria nel Foro. Questa metafora infatti viene tematizzata da Seneca il Vecchio nell’umbratile personaggio del celebre declamatore Porcio Latrone: il suo fallimento nel campo dell’oratoria forense nel processo del suo parente Rustico Porcio rappresenta allora quasi un deliberato rovesciamento di segno rispetto alla ciceroniana Pro rege Deiotaro, tenuta insolitamente, invece che nel Foro, presso la casa privata di Cesare. Se Cicerone vi lamentava di non poter utilizzare appieno le proprie risorse oratorie nel chiuso di una casa, lontano dalla folla, privo della visione del cielo cui appellarsi, Porcio Latrone (con un rovesciamento di posizioni che non appare casuale) non sopporterà appunto l’aria aperta e le voci del Foro, abituato com’è all’ombra reclusiva delle quattro pareti degli auditoria.
2010
Studia … in umbra educata: percorsi della retorica latina in età imperiale
Palermo
Flaccovio
9788878044821
Moretti, Gabriella
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11572/76158
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