Il saggio analizza il pensiero metodologico di uno dei più rilevanti giuristi italiani del XX° secolo. Il saggio argomenta, anzitutto, che l’impostazione metodologica di Mengoni si inserì nella rinascita, sviluppatasi originariamente nell’area culturale tedesca, dell’interesse filosofico per la sfera dell’agire pratico, per le azioni e le prassi che hanno il loro principio nella scelta, cioè nell’iniziativa dell’uomo. All’interno di una prospettiva fortemente unitaria dell’attività giuridica, M. si riprometteva, secondo quanto argomentato nel saggio, da un lato, di chiarire la differenza che sussisteva tra l’attività giuridica e le scienze naturali che negli anni Sessanta dello scorso secolo aspiravano ad una chiara egemonia culturale pretendendo di dettare i caratteri che doveva rivestire la metodologia propria di qualsiasi attività che aspirasse ad essere qualificata come scientifica. Dall’altro lato, M. voleva soprattutto chiarire ciò che differenziava e differenzia l’attività giuridica dalle altre discipline - alludo ovviamente all’etica, all’economica ed alla politica – che attengono all’azione umana, alla praxis oppure, come si esprime M. al «comportamento umano». In tal senso, M. non si accontentò di sottolineare, ancora una volta, ciò all’epoca dei suoi primi saggi metodologici, era già chiaro a molti autori se non a tutti: e cioè che nell’attività giuridica giocano un ruolo molto rilevante le valutazioni svolte dal giurista e che il significato del testo normativo non è attingibile senza compiere scelte di valore; che non esiste, in altre parole, un significato univoco proprio delle parole. M. si confrontò anche con una questione ulteriore che nel 1976 non era chiara a molti: cosa differenzia l’attività giuridica da quella politica. Sul punto M. non asseconda l’accentuazione topica propria di chi assegna il primato al problema. Il saggio prosegue, quindi, nell’analizzare il modo in cui M. intendeva i vincoli, sostanziali e procedurali, al discorso giuridico. M. sostiene, anzitutto, che l’affrancamento dai vari retaggi del positivismo, deve accompagnarsi ad un’interpretazione estensiva del termine «legge» utilizzato dall’art. 101, 1° co., Cost. come diritto vigente comprensivo del diritto di formazione extralegislativa. In particolare, al vincolo derivante dalla costruzione linguistica del testo, egli propone di aggiungere il più debole vincolo del diritto vivente che impone, a chi intende rompere la continuità giurisprudenziale, di argomentare in tal senso. In secondo luogo, poiché M. riteneva che una deduzione logica è vincolante solo se le premesse sono vere, e che la logica non è in grado di controllare la verità delle premesse, egli concluse che sia la premessa minore così come quella maggiore del sillogismo giudiziale non sono materia di attività logica, bensì di un’unitaria attività valutativa. Attività valutativa della quale il giudice deve dar conto nella motivazione della sua decisione sulla qualificazione giuridica dei fatti e sugli effetti giuridici che ne derivano. Sul punto M. riprende tra l’altro un’impostazione metodologica (il metodo tipologico funzionale) argomentata dall’autore del saggio in due lavori risalenti ai primi anni Novanta. Nell’ultima parte del saggio, s’indaga il modo in cui M. impostò la questioend ei valori retrostanti alle regole giuridiche. Pur senza indulgere allo storicismo che erige la storia a fonte costitutiva dei valori, occorre, secondo M., che respinse sempre il materialismo marxista, riconoscere, al contrario, la storicità del nostro modo di conoscerli e di valutarli, e quindi la relatività al contesto sociale, economico e politico dei loro modi di inveramento nel tempo. Sul piano inferiore della validità del valore o, come preferisce esprimersi M. sulla scorta di Nicolai Hartmann, delle «idee di valore» che si formano nello spirito umano, l’uomo è in grado, sempre secondo M., di conoscere e, quindi, di fondare razionalmente, sebbene solo indirettamente, un legame (Verbindung) che alimentano le idee stesse. Sul punto il saggio qualifica la posizione di M. come neo-leibniziana.

L'itinerario metodologico di Luigi Mengoni

Nogler, Luca
2008-01-01

Abstract

Il saggio analizza il pensiero metodologico di uno dei più rilevanti giuristi italiani del XX° secolo. Il saggio argomenta, anzitutto, che l’impostazione metodologica di Mengoni si inserì nella rinascita, sviluppatasi originariamente nell’area culturale tedesca, dell’interesse filosofico per la sfera dell’agire pratico, per le azioni e le prassi che hanno il loro principio nella scelta, cioè nell’iniziativa dell’uomo. All’interno di una prospettiva fortemente unitaria dell’attività giuridica, M. si riprometteva, secondo quanto argomentato nel saggio, da un lato, di chiarire la differenza che sussisteva tra l’attività giuridica e le scienze naturali che negli anni Sessanta dello scorso secolo aspiravano ad una chiara egemonia culturale pretendendo di dettare i caratteri che doveva rivestire la metodologia propria di qualsiasi attività che aspirasse ad essere qualificata come scientifica. Dall’altro lato, M. voleva soprattutto chiarire ciò che differenziava e differenzia l’attività giuridica dalle altre discipline - alludo ovviamente all’etica, all’economica ed alla politica – che attengono all’azione umana, alla praxis oppure, come si esprime M. al «comportamento umano». In tal senso, M. non si accontentò di sottolineare, ancora una volta, ciò all’epoca dei suoi primi saggi metodologici, era già chiaro a molti autori se non a tutti: e cioè che nell’attività giuridica giocano un ruolo molto rilevante le valutazioni svolte dal giurista e che il significato del testo normativo non è attingibile senza compiere scelte di valore; che non esiste, in altre parole, un significato univoco proprio delle parole. M. si confrontò anche con una questione ulteriore che nel 1976 non era chiara a molti: cosa differenzia l’attività giuridica da quella politica. Sul punto M. non asseconda l’accentuazione topica propria di chi assegna il primato al problema. Il saggio prosegue, quindi, nell’analizzare il modo in cui M. intendeva i vincoli, sostanziali e procedurali, al discorso giuridico. M. sostiene, anzitutto, che l’affrancamento dai vari retaggi del positivismo, deve accompagnarsi ad un’interpretazione estensiva del termine «legge» utilizzato dall’art. 101, 1° co., Cost. come diritto vigente comprensivo del diritto di formazione extralegislativa. In particolare, al vincolo derivante dalla costruzione linguistica del testo, egli propone di aggiungere il più debole vincolo del diritto vivente che impone, a chi intende rompere la continuità giurisprudenziale, di argomentare in tal senso. In secondo luogo, poiché M. riteneva che una deduzione logica è vincolante solo se le premesse sono vere, e che la logica non è in grado di controllare la verità delle premesse, egli concluse che sia la premessa minore così come quella maggiore del sillogismo giudiziale non sono materia di attività logica, bensì di un’unitaria attività valutativa. Attività valutativa della quale il giudice deve dar conto nella motivazione della sua decisione sulla qualificazione giuridica dei fatti e sugli effetti giuridici che ne derivano. Sul punto M. riprende tra l’altro un’impostazione metodologica (il metodo tipologico funzionale) argomentata dall’autore del saggio in due lavori risalenti ai primi anni Novanta. Nell’ultima parte del saggio, s’indaga il modo in cui M. impostò la questioend ei valori retrostanti alle regole giuridiche. Pur senza indulgere allo storicismo che erige la storia a fonte costitutiva dei valori, occorre, secondo M., che respinse sempre il materialismo marxista, riconoscere, al contrario, la storicità del nostro modo di conoscerli e di valutarli, e quindi la relatività al contesto sociale, economico e politico dei loro modi di inveramento nel tempo. Sul piano inferiore della validità del valore o, come preferisce esprimersi M. sulla scorta di Nicolai Hartmann, delle «idee di valore» che si formano nello spirito umano, l’uomo è in grado, sempre secondo M., di conoscere e, quindi, di fondare razionalmente, sebbene solo indirettamente, un legame (Verbindung) che alimentano le idee stesse. Sul punto il saggio qualifica la posizione di M. come neo-leibniziana.
2008
1
Nogler, Luca
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