L’avvio della costruzione del nuovo Duomo di Milano, nel 1386, segna una svolta cruciale nella storia dell’arte lombarda: richiamando artisti da tutta Europa, quella fabbrica fece della città dei Visconti una delle capitali del Gotico internazionale, mentre la sua mole immensa e il suo rivestimento marmoreo si imposero come emergenza nel paesaggio urbano, costituito da una fitta trama di bassi edifici in cotto. Utilizzando la ricca documentazione d’archivio sopravvissuta, l’articolo analizza la storia più antica del cantiere architettonico, dalla posa della prima pietra all’avvento al potere di Francesco Sforza, analizzando in primo luogo la modalità di organizzazione del lavoro di progettazione, che mantenne sempre un carattere collegiale, vedendo all’opera una squadra di architetti anziché un unico progettista. Un fatto, questo, del tutto inusuale nell’Italia padana, se solo si pensa ai coevi cantieri di San Petronio a Bologna o di San Pietro a Mantova. Tale pluralità di voci favorì quanto mai quel reciproco dialogo tra le arti che costituisce l’essenza stessa del cantiere di una cattedrale gotica, dove i vari ambiti espressivi fioriscono in un intreccio inscindibile, governato dalla pratica del disegno. L’autrice tenta poi di mettere a fuoco il ruolo giocato nella storia progettuale della Cattedrale dai vari architetti che si alternarono durante i primi decenni dei lavori, concentrandosi in particolare sul passaggio di consegne che a cavallo fra XIV e XV secolo ebbe per protagonisti una coppia di maestri italiani, Giovannino de Grassi e Giacomo da Campione, e un gruppo di artisti appositamente convocati da Parigi, tra i quali spiccavano l’architetto Jean Mignot e lo scultore Roland de Banille. Se l’accesa fantasia inventiva dei due sodali lombardi (entrambi usciti di scena nel 1398) fu in grado di segnare in modo decisivo l’aspetto della Cattedrale, determinando uno scarto netto rispetto alla tradizione precedente e proponendo un linguaggio fantastico, teso, nervoso, sempre marcato da un’alta temperatura emotiva, le proposte formali dei colleghi/rivali francesi furono in grado di suggerire un sensibile aggiornamento del lessico decorativo, verso un linearismo maggiormente ingentilito, più flessuoso e rigoglioso. Un indirizzo destinato ad avere grande successo a Milano e in tutto lo stato visconteo, che è di fatto alla base delle inclinazioni dell’ultima lunga stagione del gotico lombardo, protrattasi fin oltre la metà del Quattrocento. Tra la morte di Giovannino de Grassi e l’avvento di Jean Mignot, al cantiere del Duomo transitarono brevemente anche i due architetti più celebri e ricercati della Valle del Po: Jacobello e Pierpaolo Dalle Masegne. A loro l’autrice propone di riferire la responsabilità di un intervento circoscritto e in qualche modo effimero: la ristrutturazione della facciata della vecchia Cattedrale di Santa Maria Maggiore, che veniva man mano inglobata nel perimetro del nuovo Duomo che l’avrebbe soppiantata. Essendo stato abbattuto solo nel 1682, quel prospetto funse per secoli anche da fronte dell’erigenda nuova Cattedrale e il suo aspetto, dal caratteristico profilo a doppio arco inflesso, ci è noto per via di numerose raffigurazioni in miniature, disegni, dipinti su tavola o su tela.

Le chantier du Duomo de Milan entre XIVe et XVe siècle: de Giovanni de Grassi aux frères Dalle Masegne et de Jean Mignot à Filippino da Modena

Cavazzini, Laura
2009-01-01

Abstract

L’avvio della costruzione del nuovo Duomo di Milano, nel 1386, segna una svolta cruciale nella storia dell’arte lombarda: richiamando artisti da tutta Europa, quella fabbrica fece della città dei Visconti una delle capitali del Gotico internazionale, mentre la sua mole immensa e il suo rivestimento marmoreo si imposero come emergenza nel paesaggio urbano, costituito da una fitta trama di bassi edifici in cotto. Utilizzando la ricca documentazione d’archivio sopravvissuta, l’articolo analizza la storia più antica del cantiere architettonico, dalla posa della prima pietra all’avvento al potere di Francesco Sforza, analizzando in primo luogo la modalità di organizzazione del lavoro di progettazione, che mantenne sempre un carattere collegiale, vedendo all’opera una squadra di architetti anziché un unico progettista. Un fatto, questo, del tutto inusuale nell’Italia padana, se solo si pensa ai coevi cantieri di San Petronio a Bologna o di San Pietro a Mantova. Tale pluralità di voci favorì quanto mai quel reciproco dialogo tra le arti che costituisce l’essenza stessa del cantiere di una cattedrale gotica, dove i vari ambiti espressivi fioriscono in un intreccio inscindibile, governato dalla pratica del disegno. L’autrice tenta poi di mettere a fuoco il ruolo giocato nella storia progettuale della Cattedrale dai vari architetti che si alternarono durante i primi decenni dei lavori, concentrandosi in particolare sul passaggio di consegne che a cavallo fra XIV e XV secolo ebbe per protagonisti una coppia di maestri italiani, Giovannino de Grassi e Giacomo da Campione, e un gruppo di artisti appositamente convocati da Parigi, tra i quali spiccavano l’architetto Jean Mignot e lo scultore Roland de Banille. Se l’accesa fantasia inventiva dei due sodali lombardi (entrambi usciti di scena nel 1398) fu in grado di segnare in modo decisivo l’aspetto della Cattedrale, determinando uno scarto netto rispetto alla tradizione precedente e proponendo un linguaggio fantastico, teso, nervoso, sempre marcato da un’alta temperatura emotiva, le proposte formali dei colleghi/rivali francesi furono in grado di suggerire un sensibile aggiornamento del lessico decorativo, verso un linearismo maggiormente ingentilito, più flessuoso e rigoglioso. Un indirizzo destinato ad avere grande successo a Milano e in tutto lo stato visconteo, che è di fatto alla base delle inclinazioni dell’ultima lunga stagione del gotico lombardo, protrattasi fin oltre la metà del Quattrocento. Tra la morte di Giovannino de Grassi e l’avvento di Jean Mignot, al cantiere del Duomo transitarono brevemente anche i due architetti più celebri e ricercati della Valle del Po: Jacobello e Pierpaolo Dalle Masegne. A loro l’autrice propone di riferire la responsabilità di un intervento circoscritto e in qualche modo effimero: la ristrutturazione della facciata della vecchia Cattedrale di Santa Maria Maggiore, che veniva man mano inglobata nel perimetro del nuovo Duomo che l’avrebbe soppiantata. Essendo stato abbattuto solo nel 1682, quel prospetto funse per secoli anche da fronte dell’erigenda nuova Cattedrale e il suo aspetto, dal caratteristico profilo a doppio arco inflesso, ci è noto per via di numerose raffigurazioni in miniature, disegni, dipinti su tavola o su tela.
2009
Cavazzini, Laura
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11572/66502
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