L’autrice affronta l’argomento sostenendo che la geografia culturale italiana si è sviluppata secondo due direttrici: una antropologica e una umanistica. La prima guarda soprattutto alla cultura materiale e ai paesaggi antropici; la seconda si occupa principalmente dei caratteri immateriali delle culture ed esalta in specie aspetti etici ed estetici dei paesaggi. Entrambe le correnti affondano le loro radici nell’Ottocento. Sin da allora, sia in filosofia, sia in letteratura, molto si è dibattuto sul concetto di cultura. Spesso tale concetto si è scisso improntando due scuole di pensiero che opponevano cultura a civiltà, come nel mondo tedesco che distingueva la Kultur dalla Zivilisation e indicava sostanzialmente nella prima l’insieme dei valori autentici dell’individuo, nella seconda le attività oggettive, tecniche e materiali che facevano progredire la società. L’ambiguità a cui tale concetto si è prestato è dipesa anche dal fatto che per molti prevaleva l’aspetto umanistico della cultura, per altri quello antropologico. La geografia ha naturalmente seguito questo dibattito secolare, approfondendo a volte l’aspetto umanistico e altre volte quello antropologico. Dagli inizi del Novecento, a seguito soprattutto dell’influenza esercitata da Friedrich Ratzel, la geografia si è orientata prevalentemente verso l’aspetto antropologico, A partire dalla fine degli anni Ottanta, però, quella tendenza è stata quasi decapitata poiché la struttura politica che l’aveva sorretta si è storicamente autocensurata. Un grande desiderio di umanesimo è come risorto presso molte discipline, quella geografica inclusa. Come è accaduto in Francia, nei Paesi anglofoni e in Germania, anche in Italia un vero rinnovamento della geografia culturale s’è avviato negli anni Ottanta per affermarsi negli anni Novanta. Si deve rilevare come proprio in quegli anni si sia vissuto un periodo di straordinarie innovazioni politiche, sociali e ideologiche che hanno mutato il clima fortemente materialista diffuso sino allora in Europa, già influenzata dal pragmatismo americano a partire dal periodo postbellico. Il rilevante passaggio di fase storica ha riportato in auge l’individuo con le sue idee, le sue pulsioni, i suoi gusti e i suoi bisogni. In realtà, in geografia, accanto a quella positivista e strutturalista, una tradizione umanistica risalente all’Ottocento aveva continuato a esprimersi, ma messa in disparte, segregata dal predominio di differenti prospettive. Sono stati dunque messi sotto accusa il pensiero illiberale, le grandi negazioni del liberalismo e dell’individualismo che del liberalismo è lo stigma essenziale e, mentre si avviavano a sgretolamento i regimi autoritari e totalitari, la storia europea generava il nuovo contenuto di “persona”.Nello stesso tempo le rinnovate opportunità di sviluppo, i rapidi e impetuosi processi di globalizzazione e interdipendenza, le avventure etniche, accrescevano il bisogno di valori, di radicamento e d’autoriconoscimento. Tali mutamenti si sono riflessi nella geografia che ha assorbito immediatamente le tendenze di queste rinnovate condizioni e riproposto temi sino allora relegati in isolamento ideologico. In altre parole, si è recuperata quella vena di soggettivismo e spiritualismo che emerge in tutta la storia della geografia culturale tradizionale, ma che non aveva avuto una direzione forte e decisa, tale da opporsi alla scuola positivista. L’uomo, il suo vissuto, le sue passioni, le sue credenze e interpretazioni, divengono il centro dell’analisi geografica. E, dal momento che l’uomo per parlare di se stesso e la sua storia attraverso immagini ha inventato il paesaggio, questo diviene oggetto privilegiato di studi.

La Géographie culturelle italienne: orientation de recherche

Andreotti, Giuliana
2007-01-01

Abstract

L’autrice affronta l’argomento sostenendo che la geografia culturale italiana si è sviluppata secondo due direttrici: una antropologica e una umanistica. La prima guarda soprattutto alla cultura materiale e ai paesaggi antropici; la seconda si occupa principalmente dei caratteri immateriali delle culture ed esalta in specie aspetti etici ed estetici dei paesaggi. Entrambe le correnti affondano le loro radici nell’Ottocento. Sin da allora, sia in filosofia, sia in letteratura, molto si è dibattuto sul concetto di cultura. Spesso tale concetto si è scisso improntando due scuole di pensiero che opponevano cultura a civiltà, come nel mondo tedesco che distingueva la Kultur dalla Zivilisation e indicava sostanzialmente nella prima l’insieme dei valori autentici dell’individuo, nella seconda le attività oggettive, tecniche e materiali che facevano progredire la società. L’ambiguità a cui tale concetto si è prestato è dipesa anche dal fatto che per molti prevaleva l’aspetto umanistico della cultura, per altri quello antropologico. La geografia ha naturalmente seguito questo dibattito secolare, approfondendo a volte l’aspetto umanistico e altre volte quello antropologico. Dagli inizi del Novecento, a seguito soprattutto dell’influenza esercitata da Friedrich Ratzel, la geografia si è orientata prevalentemente verso l’aspetto antropologico, A partire dalla fine degli anni Ottanta, però, quella tendenza è stata quasi decapitata poiché la struttura politica che l’aveva sorretta si è storicamente autocensurata. Un grande desiderio di umanesimo è come risorto presso molte discipline, quella geografica inclusa. Come è accaduto in Francia, nei Paesi anglofoni e in Germania, anche in Italia un vero rinnovamento della geografia culturale s’è avviato negli anni Ottanta per affermarsi negli anni Novanta. Si deve rilevare come proprio in quegli anni si sia vissuto un periodo di straordinarie innovazioni politiche, sociali e ideologiche che hanno mutato il clima fortemente materialista diffuso sino allora in Europa, già influenzata dal pragmatismo americano a partire dal periodo postbellico. Il rilevante passaggio di fase storica ha riportato in auge l’individuo con le sue idee, le sue pulsioni, i suoi gusti e i suoi bisogni. In realtà, in geografia, accanto a quella positivista e strutturalista, una tradizione umanistica risalente all’Ottocento aveva continuato a esprimersi, ma messa in disparte, segregata dal predominio di differenti prospettive. Sono stati dunque messi sotto accusa il pensiero illiberale, le grandi negazioni del liberalismo e dell’individualismo che del liberalismo è lo stigma essenziale e, mentre si avviavano a sgretolamento i regimi autoritari e totalitari, la storia europea generava il nuovo contenuto di “persona”.Nello stesso tempo le rinnovate opportunità di sviluppo, i rapidi e impetuosi processi di globalizzazione e interdipendenza, le avventure etniche, accrescevano il bisogno di valori, di radicamento e d’autoriconoscimento. Tali mutamenti si sono riflessi nella geografia che ha assorbito immediatamente le tendenze di queste rinnovate condizioni e riproposto temi sino allora relegati in isolamento ideologico. In altre parole, si è recuperata quella vena di soggettivismo e spiritualismo che emerge in tutta la storia della geografia culturale tradizionale, ma che non aveva avuto una direzione forte e decisa, tale da opporsi alla scuola positivista. L’uomo, il suo vissuto, le sue passioni, le sue credenze e interpretazioni, divengono il centro dell’analisi geografica. E, dal momento che l’uomo per parlare di se stesso e la sua storia attraverso immagini ha inventato il paesaggio, questo diviene oggetto privilegiato di studi.
2007
64
Andreotti, Giuliana
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11572/26769
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact