La riflessione filosofica sulla virtù ha luogo e data di nascita nei dialoghi platonici, dove il confronto tra Socrate e i Sofisti viene messo in scena, contrapponendo ai maestri di una nuova e brillante forma di paideia il rigore intellettuale e morale del filosofo. A tirare i fili di quella che è a tutti gli effetti una rappresentazione teatrale troviamo il primo scrittore di filosofia della tradizione occidentale: tanto abile nel metterci davanti agli occhi la figura di Socrate come primo filosofo da oscurare il fatto che è lui l’artefice di questa straordinaria novità intellettuale, e da celare interamente le sue intenzioni di autore, la sua identità di pensatore. Mai Platone interviene in prima persona nei dialoghi, neppure in funzione di narratore (benché usi spesso la formula del ‘dialogo narrato’). E ci lascia stupiti a chiederci “Who speaks for Plato in the dialogues?”, come recita il titolo di un’importante raccolta di saggi (Press 2000), che dispiega una impressionante quantità di questioni interpretative generate dal silenzio dell’autore. Naturalmente studiamo, analizziamo, spieghiamo e trasmettiamo il senso della filosofia platonica attenendoci strettamente ai testi che la tradizione ci ha conservato; ma siamo consapevoli che la forma di scrittura scelta da Platone per rappresentare la filosofia non è un modo per presentare con apparente e poetica leggerezza contenuti dottrinari che sarebbero meglio esposti in forma logico-dimostrativa, bensì un modo per esibirne la pratica, nel vivo di quell’azione che è il dialogo. L’interesse dei dialoghi platonici è anche documentario. Noi conosciamo solo in modo indiretto il retroscena culturale da cui Platone ha ritagliato la scena di un conflitto, che ha un solo primo attore (il filosofo che interroga) e diversi antagonisti, tra cui spiccano personaggi che hanno in vario modo a che fare con la cultura sofistica: Protagora e Gorgia, Callicle e Trasimaco. Il potere della forma-dialogo, scelta dall’autore per rappresentare le capacità di azione della filosofia, è anche di conservare per noi i termini di alcuni dibattiti epocali. Platone sembra volersene fare osservatore attraverso Socrate (vero testimone del V secolo, che costituisce l’ambientazione drammatica di tutti i dialoghi), affidando al filosofo il compito di smascherare le ambiguità nascoste in linguaggi che entravano in conflitto tra loro: le stesse che ancora alimentavano ai suoi occhi il malessere dell’Atene del suo tempo (il IV secolo). Dobbiamo al suo talento di parodista la credibilità di questi personaggi e delle forme culturali che essi rappresentano, con tale ricchezza da offrire un quadro in qualche modo attendibile di quelle che dovettero essere le questioni morali e politiche in gioco al tempo in cui Platone fa nascere la filosofia. Quelle scene memorabili, che hanno informato di sé un’intera tradizione, ci insegnano per prime l’esigenza di un modo corretto di pensare e di parlare intorno all’oggetto virtù e, dandoci memoria di un dibattito antico, costruiscono la nostra possibilità di riprenderlo, rispettandone in qualche modo il canone drammatico. È importante capire anche il modo in cui la rappresentazione del dialogo ci convince. Il motivo per cui la forma teatrale scelta da Platone per mettere in scena la filosofia ci interessa tanto è che il filosofo non usa soltanto la forza delle argomentazioni per spingere la nostra mente a imboccare una certa direzione, ma affida al valore performativo delle azioni e degli atteggiamenti dei personaggi una parte rilevante della sua strategia persuasiva.

Il teatro platonico della virtù: scene memorabili

de Luise, Fulvia
2017-01-01

Abstract

La riflessione filosofica sulla virtù ha luogo e data di nascita nei dialoghi platonici, dove il confronto tra Socrate e i Sofisti viene messo in scena, contrapponendo ai maestri di una nuova e brillante forma di paideia il rigore intellettuale e morale del filosofo. A tirare i fili di quella che è a tutti gli effetti una rappresentazione teatrale troviamo il primo scrittore di filosofia della tradizione occidentale: tanto abile nel metterci davanti agli occhi la figura di Socrate come primo filosofo da oscurare il fatto che è lui l’artefice di questa straordinaria novità intellettuale, e da celare interamente le sue intenzioni di autore, la sua identità di pensatore. Mai Platone interviene in prima persona nei dialoghi, neppure in funzione di narratore (benché usi spesso la formula del ‘dialogo narrato’). E ci lascia stupiti a chiederci “Who speaks for Plato in the dialogues?”, come recita il titolo di un’importante raccolta di saggi (Press 2000), che dispiega una impressionante quantità di questioni interpretative generate dal silenzio dell’autore. Naturalmente studiamo, analizziamo, spieghiamo e trasmettiamo il senso della filosofia platonica attenendoci strettamente ai testi che la tradizione ci ha conservato; ma siamo consapevoli che la forma di scrittura scelta da Platone per rappresentare la filosofia non è un modo per presentare con apparente e poetica leggerezza contenuti dottrinari che sarebbero meglio esposti in forma logico-dimostrativa, bensì un modo per esibirne la pratica, nel vivo di quell’azione che è il dialogo. L’interesse dei dialoghi platonici è anche documentario. Noi conosciamo solo in modo indiretto il retroscena culturale da cui Platone ha ritagliato la scena di un conflitto, che ha un solo primo attore (il filosofo che interroga) e diversi antagonisti, tra cui spiccano personaggi che hanno in vario modo a che fare con la cultura sofistica: Protagora e Gorgia, Callicle e Trasimaco. Il potere della forma-dialogo, scelta dall’autore per rappresentare le capacità di azione della filosofia, è anche di conservare per noi i termini di alcuni dibattiti epocali. Platone sembra volersene fare osservatore attraverso Socrate (vero testimone del V secolo, che costituisce l’ambientazione drammatica di tutti i dialoghi), affidando al filosofo il compito di smascherare le ambiguità nascoste in linguaggi che entravano in conflitto tra loro: le stesse che ancora alimentavano ai suoi occhi il malessere dell’Atene del suo tempo (il IV secolo). Dobbiamo al suo talento di parodista la credibilità di questi personaggi e delle forme culturali che essi rappresentano, con tale ricchezza da offrire un quadro in qualche modo attendibile di quelle che dovettero essere le questioni morali e politiche in gioco al tempo in cui Platone fa nascere la filosofia. Quelle scene memorabili, che hanno informato di sé un’intera tradizione, ci insegnano per prime l’esigenza di un modo corretto di pensare e di parlare intorno all’oggetto virtù e, dandoci memoria di un dibattito antico, costruiscono la nostra possibilità di riprenderlo, rispettandone in qualche modo il canone drammatico. È importante capire anche il modo in cui la rappresentazione del dialogo ci convince. Il motivo per cui la forma teatrale scelta da Platone per mettere in scena la filosofia ci interessa tanto è che il filosofo non usa soltanto la forza delle argomentazioni per spingere la nostra mente a imboccare una certa direzione, ma affida al valore performativo delle azioni e degli atteggiamenti dei personaggi una parte rilevante della sua strategia persuasiva.
2017
Il teatro platonico della virtù
Trento
Università degli studi di Trento, Dipartimento di lettere e filosofia
9788884437228
de Luise, Fulvia
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11572/177601
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