Le Sezioni Unite definiscono limiti "espliciti" e "impliciti" di ricorribilità in cassazione della c.d. ordinanza filtro ex artt. 348-bis e ter c.p.c.

Tra le innumerevoli perplessità e dibattute questioni sollevate dall’introduzione, con la l. 134/2012, del c.d. filtro in appello mediante il meccanismo costituito dagli artt. 348-bis e ter c.p.c., una tra le più controverse si è rivelata, sin da principio, quella relativa alla (autonoma) impugnabilità dell’ordinanza di «peculiarissima» inammissibilità dell’appello per mancanza di ragionevole probabilità di suo accoglimento. La questione, prontamente evidenziata in dottrina alla volta dell’entrata in vigore della menzionata novella, ha investito, come ovvio, anche la giurisprudenza di legittimità. Senza dubbio colpevole il dato positivo poco perspicuo sul punto (come invero tutta la disciplina del ‘filtro’ in appello), la giurisprudenza della Sezione VI del S.C. si è ben presto divisa: ad una, favorevole all’autonoma impugnabilità in cassazione, seppur nei termini di cui si dirà, della c.d. ordinanza-filtro, se ne è contrapposta altra, di segno contrario, gettando nell’incertezza – più di quanto per altri profili già non fosse – l’applicazione del meccanismo del filtro in appello. Con la sentenza in commento, le Sezioni unite, investite della questione con ordinanza di rimessione n. 223/2015, dirimono il contrasto, sancendo l’autonoma impugnabilità per cassazione dell’ordinanza-filtro per vizi processuali suoi propri e distinguendo tra ipotesi (c.dd. esplicite ed implicite) di errores in procedendo, denunciabili con ricorso straordinario od ordinario. L’a. ritiene l’approdo cui giunge il S.C. nella sostanza condivisibile, ancorché in alcuni passaggi ricostruttivi passibile di critica.