La pianificazione strategica del territorio si è sviluppata in Italia dall’inizio del XXI secolo (con un certo ritardo rispetto all’esperienza maturata in altri ordinamenti), in assenza di norme di portata generale. Pertanto, i pianificatori strategici italiani hanno potuto esprimere liberamente la propria creatività, tant’è vero che la casistica si contraddistingue in primo luogo per la frammentarietà e l’eterogeneità dei contenuti. Anzi, paradossalmente proprio l’individualismo quasi esasperato pare poter essere indicato come peculiarità della pianificazione strategica territoriale in Italia, che – data la diffusa ritrosia delle amministrazioni locali a sperimentare soluzioni associative significative – si pone essenzialmente come iniziativa di matrice comunale. Gli interlocutori a cui i comuni si rivolgono sono normalmente di due tipi: gli stakeholders privati e gli enti pubblici che si riconoscono nel territorio di riferimento del comune leader. È assai meno frequente, invece, il coinvolgimento diretto di soggetti collocati, per così dire, sullo stesso livello istituzionale del promotore; ne deriva l’incapacità della pianificazione strategica a fungere realmente da strumento di coordinamento fra enti omogenei. D’altra parte, un elemento tipico assimila le varie sperimentazioni italiane. Precisamente, tutte le istituzioni che hanno scelto di impegnarsi sul fronte della pianificazione strategica hanno intrapreso percorsi deliberativi fortemente procedimentalizzati. In questo campo, pertanto, trova conferma sul piano applicativo il noto orientamento della Consulta, in base al quale la procedimentalizzazione (pur non rappresentando un principio costituzionale in senso stretto) si configura come regola generale dell’azione amministrativa, operante anche in assenza di previsioni puntuali. La progressiva (benché discontinua e frammentaria) diffusione della pianificazione strategica dimostra anche le sue potenzialità come meccanismo di potenziamento e valorizzazione, da un lato, della comunicazione pubblica e, dall’altro lato, della cooperazione fra amministrazione e amministrati, che instaurano un rapporto fiduciario, improntato alla reciprocità, per la programmazione e la realizzazione delle trasformazioni del territorio. Infine, è interessante notare come l’introduzione di questo strumento nel sistema nazionale abbia determinato, per così dire, un fenomeno di cross pollination. In primo luogo, naturalmente, l’operato degli enti che decidono di diventare “città strategiche” segue un andamento in parte inedito; in secondo luogo, il modello di pianificazione strategica territoriale accolta in Italia a sua volta assume caratteri in parte diversi (si pensi soprattutto alla spiccata procedimentalizzazione) rispetto a quelli che lo caratterizzavano all’inizio della sua storia negli ordinamenti di common law.

Strategic spatial planning in Italy: a new model for two-way trust in administrative action

Simonati, Anna
2015-01-01

Abstract

La pianificazione strategica del territorio si è sviluppata in Italia dall’inizio del XXI secolo (con un certo ritardo rispetto all’esperienza maturata in altri ordinamenti), in assenza di norme di portata generale. Pertanto, i pianificatori strategici italiani hanno potuto esprimere liberamente la propria creatività, tant’è vero che la casistica si contraddistingue in primo luogo per la frammentarietà e l’eterogeneità dei contenuti. Anzi, paradossalmente proprio l’individualismo quasi esasperato pare poter essere indicato come peculiarità della pianificazione strategica territoriale in Italia, che – data la diffusa ritrosia delle amministrazioni locali a sperimentare soluzioni associative significative – si pone essenzialmente come iniziativa di matrice comunale. Gli interlocutori a cui i comuni si rivolgono sono normalmente di due tipi: gli stakeholders privati e gli enti pubblici che si riconoscono nel territorio di riferimento del comune leader. È assai meno frequente, invece, il coinvolgimento diretto di soggetti collocati, per così dire, sullo stesso livello istituzionale del promotore; ne deriva l’incapacità della pianificazione strategica a fungere realmente da strumento di coordinamento fra enti omogenei. D’altra parte, un elemento tipico assimila le varie sperimentazioni italiane. Precisamente, tutte le istituzioni che hanno scelto di impegnarsi sul fronte della pianificazione strategica hanno intrapreso percorsi deliberativi fortemente procedimentalizzati. In questo campo, pertanto, trova conferma sul piano applicativo il noto orientamento della Consulta, in base al quale la procedimentalizzazione (pur non rappresentando un principio costituzionale in senso stretto) si configura come regola generale dell’azione amministrativa, operante anche in assenza di previsioni puntuali. La progressiva (benché discontinua e frammentaria) diffusione della pianificazione strategica dimostra anche le sue potenzialità come meccanismo di potenziamento e valorizzazione, da un lato, della comunicazione pubblica e, dall’altro lato, della cooperazione fra amministrazione e amministrati, che instaurano un rapporto fiduciario, improntato alla reciprocità, per la programmazione e la realizzazione delle trasformazioni del territorio. Infine, è interessante notare come l’introduzione di questo strumento nel sistema nazionale abbia determinato, per così dire, un fenomeno di cross pollination. In primo luogo, naturalmente, l’operato degli enti che decidono di diventare “città strategiche” segue un andamento in parte inedito; in secondo luogo, il modello di pianificazione strategica territoriale accolta in Italia a sua volta assume caratteri in parte diversi (si pensi soprattutto alla spiccata procedimentalizzazione) rispetto a quelli che lo caratterizzavano all’inizio della sua storia negli ordinamenti di common law.
2015
9
Simonati, Anna
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